Licenziata con un messaggio su WhatsApp perché incinta
Silvia ha cominciato a lavorare in un negozio alcuni anni fa. Doveva essere inquadrata come co.co.co ma ha scoperto di essere in realtà inquadrata come prestazione occasionale. Ogni mese le veniva fatta firmare una fattura e le veniva poi accreditato lo stipendio sul conto: 700 euro per un full time, 40 ore di lavoro settimanali. Questi 700 euro diventavano 500 se lei stava male o se prendeva qualche giorno di ferie. I numerosi straordinari, fatti anche quando era in gravidanza, invece non venivano mai pagati.
Appena saputo di non avere contributi versati all’Inps e di essere inquadrata come ‘prestazione occasionale’, Silvia ha deciso di chiamare la sua titolare e chiedere spiegazioni. Quando le ha comunicato di aspettare un bambino, ha risposto che doveva pensarci prima di rimanere incinta.
Da lì sono iniziati una serie di comportamenti volti a far sentire Silvia a disagio. Messaggi sul gruppo Whatsapp insieme ad altri colleghi in cui la si criticava per il proprio lavoro, cartelli affissi nel negozio con scritto ‘Cercasi personale’.
Il bambino di Silvia adesso ha cinque mesi. Inutile dire che, in tutto questo periodo di tempo, le è stato impossibile percepire la maternità che pensava le sarebbe spettata. “Mio figlio è una delle cose più belle che mi siano capitate, anche se la gravidanza era arrivata in un periodo economico non felice. Non ho più i genitori, sono riuscita a non cadere in mille pezzi grazie all’aiuto dei miei suoceri e dei miei fratelli. È grazie a loro se ho superato tutto. Ma mi chiedo come sia possibile che al mondo esistano persone così cattive, che non si fanno problemi a fare del male e danneggiare una persona con cui sono stati a stretto contatto fino al giorno prima”.