Lavoro e benessere in Italia: tra aspirazioni e realtà, il rischio burn-out per un lavoratore su tre

L’8° Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale ha fornito una fotografia dettagliata e preoccupante del rapporto tra lavoro e benessere degli italiani, mettendo in luce aspetti critici che richiedono attenzione immediata. Secondo i dati, l’83% dei dipendenti italiani ritiene che il lavoro debba contribuire attivamente al benessere fisico e psicologico della persona. Questa convinzione è particolarmente forte tra i dipendenti, con una percentuale che raggiunge l’86%, e tra gli operai, che si attestano al 79%, mentre tra i dirigenti la percentuale scende al 76%, segnalando una differenza di percezione tra i diversi livelli gerarchici.

Tuttavia, a contrastare questa aspirazione al benessere c’è un dato allarmante: quasi un lavoratore su tre, il 31,8%, ha ammesso di aver provato sensazioni di esaurimento, estraneità o sentimenti negativi nei confronti del proprio lavoro. Questo fenomeno, che può essere considerato un campanello d’allarme per il rischio di burn-out, è legato a diverse cause strutturali e organizzative. Tra le principali ragioni del malessere lavorativo emergono la mancanza di equilibrio tra vita privata e lavoro, con molti dipendenti che faticano a conciliare gli impegni professionali con quelli personali, vivendo una costante sensazione di sovraccarico e stress. A ciò si aggiungono le eccessive responsabilità, soprattutto in contesti lavorativi con carichi di lavoro elevati e scarse risorse, che portano i dipendenti a sentirsi schiacciati dalle aspettative e dalla pressione. Un altro fattore determinante è la frustrazione per il mancato supporto del datore di lavoro, con molti lavoratori che percepiscono di non essere sostenuti o ascoltati dalla propria azienda, contribuendo a un senso di abbandono e demotivazione. Infine, un ambiente lavorativo non sano, caratterizzato da conflitti, mancanza di collaborazione o scarsa comunicazione, incide negativamente sul benessere psicologico dei dipendenti.

Queste sensazioni negative non sono isolate, ma fanno parte di un quadro più ampio e complesso che, se non affrontato con politiche adeguate, può portare a conseguenze gravi come il burn-out, una condizione di esaurimento emotivo, fisico e mentale che compromette la qualità della vita e la produttività. Il burn-out non solo danneggia il singolo lavoratore, ma ha ripercussioni sull’intera organizzazione, riducendo l’efficienza e aumentando il turnover.

Il rapporto sottolinea quindi l’urgenza di interventi mirati per migliorare il welfare aziendale e promuovere un ambiente di lavoro più sano e inclusivo. Tra le possibili soluzioni si potrebbero considerare la flessibilità oraria e lo smart working, per favorire un migliore equilibrio tra vita privata e professionale, insieme a programmi di supporto psicologico per aiutare i dipendenti a gestire lo stress e le pressioni lavorative. Sarebbe inoltre utile investire nella formazione per i manager, per sviluppare competenze di leadership empatica e creare un clima aziendale più collaborativo, oltre a promuovere iniziative di team building e benessere organizzativo, per rafforzare i legami tra colleghi e migliorare la qualità dell’ambiente lavorativo.

In sintesi, i dati del rapporto Censis-Eudaimon evidenziano una crescente consapevolezza tra i lavoratori italiani dell’importanza del benessere sul lavoro, ma al contempo rivelano una realtà in cui molti faticano a trovare un equilibrio sano. Affrontare queste criticità non è solo una questione di responsabilità sociale delle aziende, ma anche un investimento strategico per migliorare la produttività e la sostenibilità del sistema lavorativo italiano.

Fonte: https://www.tgcom24.mediaset.it/salute/stress-lavoro-burn-out-1-dipendente-su-3_94170418-202502k.shtml