Molestie e violenze sul lavoro il punto di vista del sindacato

a cura di Rosanna Laplaca

L’entrata in vigore della Convenzione Ilo ha segnato un punto di svolta radicale in materia di violenza e molestie nei luoghi di lavoro. Per la prima volta infatti è stato sancito il diritto di essere liberi, di non dover più scegliere se continuare a lavorare o smettere di farlo per non continuare a subire violenza e molestie. E si è affermata come cardinale una cultura del lavoro basata sul rispetto reciproco e sulla dignità dell’essere umano.

Con questa consapevolezza, partendo dai principi sanciti dalla Convenzione abbiamo puntato sulla nascita dell’osservatorio, interfaccia semplice e concreta di tante vittime che purtroppo, troppo spesso ancora, non escono allo scoperto per timore. Come Cisl,  grazie al radicamento nel territorio e nei posti di lavoro, possiamo intercettare segnali di malessere e disagio e orientarli verso la segnalazione e l’eventuale denuncia. A  livello europeo, stiamo collaborando fattivamente alla realizzazione della Ricerca della Confederazione Europea dei Sindacati “Affrontare la violenza e le molestie contro le donne sul lavoro”, che  si svolge in concomitanza con i lavori della Commissione europea su una nuova direttiva per contrastare la violenza di genere,  anche nelle sue forme più recenti quale la violenza on line; mentre il lavoro si sposta in casa per molte lavoratrici, le molestie online sul posto di lavoro, agevolate da strumenti di monitoraggio intrusivi, sono un fenomeno in aumento.

Luoghi di lavoro sicuri, liberi da violenza e molestie, sono una priorità urgente per la Cisl per questo intendiamo aprire nuove strade di lavoro per offrire strumenti qualificati come l’Osservatorio 6libera e costruire buone pratiche che supportino i sindacalisti nei posti di lavoro nella prevenzione e nel contrasto alla violenza e alle molestie, anche attraverso la stipula di accordi e contratti per rendere operativi i contenuti della Convenzione.

La via maestra risiede nel mettere in campo azioni sinergiche tra il sindacato e l’azienda, iniziative concrete e decisive per l’adattamento delle strategie da adottare per ambienti di lavoro con tolleranza zero verso le molestie, le discriminazioni e la violenza. bisogna sensibilizzare, negoziare le politiche aziendali, negoziare misure di sostegno; coinvolgimento dei sindacati nel meccanismo di conformità sul posto di lavoro; anticipare gli eventi; analizzare l’impatto di genere con raccolta dati più ampie sulla contrattazione, sul posto di lavoro; parità di genere nel team contrattuale.

Come abbiamo più volte ribadito, vogliamo dare voce a chi per paura sceglie il silenzio. Perché il lavoro sia dignitoso e si concretizzi la giustizia sociale.

La Legge n. 162/2021 e la lotta alle discriminazioni sul posto di lavoro

a cura dell’Avv. Amalia Sprovieri

Il 5 Novembre 2021 è stata approvata la Legge numero 162 di modifica del Codice delle Pari Opportunità introdotto dal D. Lgs 198 del 2006. La norma, entrata in vigore il successivo 3 Dicembre 2021 è stata approvata con una maggioranza ampia e trasversale e si propone, attraverso una serie di misure premiali che vanno ad integrare il contenuto meramente precettivo della disciplina previgente, di rafforzare il contrasto alla discriminazione e di promuovere l’effettività della parità salariale. La portata della novella legislativa è alquanto innovativa e si rifà alla esperienza internazionale di previsione di misure di sostegno al contrasto del c.d. gender gap che si è mostrato essere uno strumento più efficace rispetto al mero precetto. Un primo passo verso una tutela effettiva è certamente rappresentato dall’ampliamento della nozione di “discriminazione“. L’art. 2 della novella modifica la norma di cui all’art. 25 del Codice delle pari opportunità, e ricomprende nel novero delle condotte discriminatorie tutti i trattamenti o le modifiche dell’organizzazione delle condizioni e dei tempi di lavoro che, in ragione del sesso, dell’età anagrafica, delle esigenze di cura personale o familiare, dello stato di gravidanza, di maternità o paternità, pongono o potrebbero porre il lavoratore:

– in una posizione di svantaggio rispetto alla generalità degli altri lavoratori;

– limitarne le opportunità di partecipazione alla vita o alle scelte aziendali;

– limitarne l’accesso ai meccanismi di avanzamento e di progressione di carriera.

Si tratta di specificazioni significative, perché le discriminazioni indirette che spesso si realizzano attraverso atti di gestione aziendale apparentemente neutri, sono in grado di produrre effetti pregiudizievoli per alcuni lavoratori rispetto alla generalità, si sono dimostrate nella pratica particolarmente difficili da individuare e da contrastare. La tutela introdotta dalla Legge 162 è rivolta oltretutto non solo ai lavoratori in forze, ma anche ai candidati ancora in fase di selezione. La tutela rafforzata di questa norma passa anche attraverso l’ampliamento dei soggetti cui si rivolge. L’art. 3 prevede infatti una modifica dell’art. 46 del Codice di pari opportunità con l’abbassamento a 50 dipendenti della soglia oltre la quale aziende pubbliche e private sono tenute a redigere un rapporto sulla situazione del personale maschile e femminile, con previsione della possibilità di redigere tale rapporto per le aziende sotto tale soglia. Questa modifica troverà quindi applicazione su circa 28mila imprese. Il rapporto dovrà essere redatto con modalità telematiche con cadenza biennale utilizzando i moduli predisposti dal Ministero del Lavoro delle Politiche sociali e trasmesso alle RSU/ RSA che dovranno essere compilati entro il 31 dicembre. Esso dovrà indicare il numero dei lavoratori occupati di sesso femminile e di sesso maschile e di quelli assunti nel corso dell’anno, il numero delle lavoratrici in stato di gravidanza, l’inquadramento contrattuale, la funzione svolta, le differenze tra le retribuzioni iniziali dei lavoratori di ciascun sesso, l’importo della retribuzione complessiva corrisposta, delle componenti accessorie del salario, delle indennità’, anche collegate al risultato, dei bonus e di ogni altro beneficio in natura riconosciuti a ciascun lavoratore. È fatto inoltre obbligo di inserire nel rapporto informazioni e dati sui processi di selezione in fase di assunzione e reclutamento, sulla presenza di politiche aziendali a garanzia di un ambiente di lavoro inclusivo e rispettoso e sui criteri adottati per le progressioni di carriera; deve infine indicare le modalità di accesso al dossier da parte dei dipendenti e delle rappresentanze sindacali, al fine di usufruire della tutela giudiziaria, nel rispetto della normativa privacy. La norma è vincolante. L’Ispettorato Nazionale del Lavoro potrà attivarsi per verificare la genuinità dei rapporti.

Nel caso di rapporto mendace o incompleto si applicherà una sanzione amministrativa pecuniaria da 1.000 a 5.000 Euro e fino a 2.580 Euro in caso di recidiva con sospensione per un anno dai benefici contributivi in caso di inottemperanza protratta per oltre 12 mesi. Scopo della fattispecie è quello di responsabilizzare le imprese, vincere la scarsa trasparenza sulle condizioni di lavoro e promuovere la cultura della parità. La novella ha poi istituito con l’art. 46 bis del Codice delle pari opportunità una “certificazione della parità di genere”. Una novità importante che sta riscuotendo notevole successo non solo nelle regioni storicamente traino dell’economia del Paese. A decorrere dal 1° gennaio 2022 le aziende devono, con opportune differenze in relazione al requisito dimensionale, attestare l’effettiva adozione di politiche e misure concrete finalizzate a ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale a parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità, criteri poi definiti con le linee guida per la certificazione di parità di genere. La norma istituisce inoltre la premialità di parità. Alle aziende private che siano in possesso della sopra riferita certificazione sulla parità di genere, conferita da Enti accreditati che “accompagnano” le aziende nel percorso virtuoso necessario alla certificazione e attestano il rispetto delle linee guide previste dalla UNI PDR 125 2022 è concesso, nel limite di uno stanziamento pari a 50 milioni di euro, un esonero dal versamento dei contributi previdenziali. Infine, alle aziende private che, alla data del 31 dicembre dell’anno precedente a quello di riferimento, siano in possesso della certificazione della parità di genere, verrà riconosciuto un punteggio premiale per la valutazione, da parte di autorità titolari di fondi europei nazionali e regionali, di proposte progettuali ai fini della concessione di aiuti di Stato a cofinanziamento degli investimenti sostenuti. Un ulteriore aspetto pratico, da monitorare sarà l’impatto che tali adempimenti avranno nell’ambito delle operazioni straordinarie: l’auspicio, infatti, è che la compliance alle previsioni della Legge n. 162 rappresenti un tassello di valore nella valutazione delle aziende. Ciò potrebbe contribuire ad accelerare il percorso verso un’effettiva parità di genere. Non si può negare che il monitoraggio di comportamenti discriminatori potrebbe indurre anche effetti negativi, ad esempio incoraggiare l’outsourcing di lavori a basso salario per le lavoratrici o ridurre il ricorso a contratti di lavoro subordinato per evitare eludere l’obbligo di rapporto. Occorrerà inoltre comprendere come gestire l’organizzazione del lavoro le imprese di servizi che operano in franchising o le nuove imprese della c.d. gig-economy e quelli connessi alla non inclusione di altri lavoratori dove più si annida la discriminazione.

La  Legge 19 luglio 2019 n. 69: il Codice Rosso: criticità di una normativa d’emergenza

a cura dell’Avv. Prof. Francesco Mazza

Il nove agosto del 2019 è entrata in vigore la Legge definita “Codice Rosso” fortemente voluta dal legislatore nazionale. La normativa, composta da 21 articoli che modificano diverse disposizioni del Codice penale sostanziale nonché processuale, ha altresì tipizzato  quattro nuove fattispecie: “la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti” (art. 612 ter c.p.), “la deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso” (art. 583 quinquies c.p.), “la costrizione o induzione al matrimonio” (art. 558 bis c.p.) e “la violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento al luoghi frequentati dalla persona offesa” (art. 387 bis c.p.).

La mens legis risiede indubitabilmente nell’esigenza di apprestare una maggiore tutela rispetto a determinati beni giuridici sempre più in pericolo: in questo senso è sicuramente apprezzabile la volontà nonché l’intento di arginare quei fenomeni sempre più dilaganti che occupano la cronaca giudiziaria giornaliera.

Parimenti si evidenziano alcune criticità dal profilo operativo della novella legislativa. L’obbligo in capo al Pubblico ministero procedente di ascoltare la persona offesa entro i tre giorni dalla presentazione della sua denunzia-querela pone delle grandi problematiche nella organizzazione delle Procure. Alcune di esse, difatti, sono atavicamente sotto organico mentre altre più grandi come quella di Milano registrano picchi di 50 denunzie al giorno per fatti inerenti alla nuova normativa. Altro profilo critico inerente tale obbligo risiede nel rischio di operare una “vittimizzazione secondaria” ai danni della donna, costretta a rivivere in uno stretto arco temporale, con il proprio racconto, quei fatti traumatici già esposti nella denunzia: una condizione di ulteriore sofferenza sperimentata dalla vittima che può comportare conseguenze psicologiche negative.

A nostro avviso, inoltre, le maggiori problematiche della Legge (sempre da un punto di vista operativo e non esegetico) risiedono nell’assenza di formazione specifica della polizia giudiziaria, nonché nell’assenza di idonee strutture che possano consentire di accompagnare la donna prima e dopo la denunzia.

Con un maggiore coraggio, invece, si sarebbe potuta effettuare una importante modifica: prevedere l’arresto differito nella flagranza delle 48 ore, così come avviene per tutta quella gamma di reati che vengono perpetrati nel corso manifestazioni sportive, al fine di evitare i numerosi omicidi commessi nei confronti di donne le quali avevano sporto denunzia nei confronti dei loro mariti o ex compagni tre o quattro giorni prima di essere uccise.

Non si può parimenti non evidenziare un’altra difficoltà che emerge dalla lettura dell’art. 21 del “Codice Rosso” rubricato “Clausola di invarianza finanziaria”, a rigore del quale non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, poiché saranno le amministrazioni competenti con le proprie risorse a provvedere all’adeguamento alla nuova normativa.

 L’interrogativo che sorge spontaneo è il seguente: la tipizzazione di una norma extra codicem che nello specifico comporta effetti diretti sulla organizzazione dell’amministrazione della Giustizia può avvenire senza copertura finanziaria? La risposta non può che essere negativa. A nostro modesto avviso, è imprescindibile, reperire le risorse economiche necessarie per la corretta operatività di fattispecie che prevedono modifiche operative sulla “macchina” della Giustizia già in notevole difficoltà. Diversamente, tutti gli sforzi operati dal Legislatore su una tematica così delicata e complessa, rischiano di rimanere vani.

Due passi tra le nuvole insieme agli invisibili

a cura dell’Avv. Massimo Rossi

Il valore delle persone più deboli, nel nostro mondo occidentale, è sempre più sconosciuto.

Si passa dalla grande enfasi, alla indignazione, alla condanna populista, ma poi per i fragili, per gli ultimi, per gli invisibili non c’è spazio in questa società. Inutile che si faccia tanto baccano quando accadono tragedie di povertà d’animo ed economiche se poi alla fine dei conti noi “contiamo” in base a quanto reddito abbiamo. Il mondo occidentale – ormai da tempo – ha perso il valore della persona e dell’essere umano e lo ha sostituito con il puro valore del denaro che la persona ha e/o produce. Ed allora viene naturale pensare a coloro che, per definizione, non producono: i bambini, gli anziani, i disabili fisici e/o psicologici.

Questi sono gli invisibili del nostro mondo delle apparenze. Sono coloro i cui diritti non contano o contano molto meno o contato a tratti, ad intermittenza.

Siamo di fronte ad una involuzione sociale ed un impoverimento culturale dovuto alla massificazione delle informazioni/definizioni che ci inondano. Tutto ciò, ci fa sembrare più al centro del mondo, mentre, invece, siamo parcheggiati ai margini e si vive nella profonda inconsapevolezza ed ignoranza. Viene da pensare, allora, se in tutto il mondo sia così.

Ma non è così.

Vi è una netta differenza tra società a trazione economica ”post-capitalistica” e paesi poveri o poverissimi. In questi ultimi il senso della tutela e della protezione dei soggetti fragili è più forte, anche se non attuato per ragioni di assetti politici dispotici (in molti casi). Nel nostro mondo “civilizzato” i bambini sono oggetto di contese tra i genitori e sono merce di scambio quando, addirittura, non sono oggetto di ricatto e/o vittime sacrificali sull’altare della follia e/o dell’egoismo e/o del mercato.

Gli anziani negli ospizi perché non hanno più nulla da dare e le persone con deficit aiutati dalle famiglie o lasciati, totalmente, allo sbando da uno Stato che non riesce a nessun costo a proteggerli. Un quadro preciso non si ha, ma anziani e persone con deficit o sono aiutati dai familiari o finiscono in quella “sacca di povertà” economica e culturale che non interessa a nessuno. Siamo pronti a sacrificare il nostro tempo per occuparci di loro?

Anche qui, tutto è legato alla forza ed alla sensibilità del singolo. Le strutture pubbliche non sono preparate ad affrontare temi sociali per carenza, oltre che di mezzi, anche di preparazione culturale degli addetti. Nessun paese civilizzato di “prima fascia” investe seriamente sulla valorizzazione dei soggetti fragili e, in molti di loro, nemmeno vengono protetti (figuriamoci in una situazione come quella attuale in cui il sistema occidentale è stato incrinato da una crisi pandemica che appare la tempesta perfetta per aumentare le diversità ed acuire la povertà di molti e innalzare la ricchezza di pochissimi). La burocrazia poi fa il resto e determina una “rincorsa” estrema per ottenere dei diritti naturali ed elementari. A fronte di tutto questo l’inversione di rotta è tutt’altro che semplice perché, come i cavalli con i paraocchi, la politica delle società civili si muove in modo unidirezionale rimuovendo (o meglio non vedendo) chi non rientra in quel cono di luce, ma che, in ogni caso, esiste.

Una società, invece, veramente evoluta è inclusiva ed è costruttiva. Una società evoluta crea “ricchezza”  dalle differenze, non differenzia per la ricchezza.

Non è questione – come molti credono – di colore politico è questione di prospettiva e di coraggio che alla base ha, una radicata cultura di democrazia e di uguaglianza. Una società che non tuteli, effettivamente, i soggetti fragili ha già perso perché ha lasciato per strada il futuro, il passato e l’altra realtà del mondo.

Brava Greta Beccaglia

a cura di Nadia Speciale

Brava Greta Beccaglia, denunciare, parlare e farsi portavoce di qualsiasi tipo di violenza e abuso contro le donne è fondamentale e necessario.

Ancor più strano appare che tutti coloro che assistevano in diretta a questo spregevole episodio non intervenivano…dovrei pensare che forse per alcuni questo tipo di molestie non sono da considerare gravi? Bisogna arrivare al femminicidio per parlare di violenza?

Sappiamo, per esempio che nei casi di violenza e molestie nei luoghi di lavoro, l’81% delle donne non denuncia, preferisce tacere, temendo ritorsioni tali da poter rovinare le loro vite.

Ecco perché è fondamentale comprendere quanto sia importante la comunicazione, la condivisione e l’essere tutti uniti nel sostegno degli inviolabili diritti umani, contro ogni forma di violenza.

Una società evoluta e civile deve indignarsi sempre di fronte a qualsiasi comportamento violento

Denunciare, agire, cooperare tutti insieme, uomini e donne, è necessario.

Tutti dunque possono dare il loro contributo, ogni donna che denuncia lo fa per tutte le altre, ogni impresa, azienda, istituzione, può sostenere tramite i giusti strumenti la libertà dall’abuso e l’affermazione delle pari opportunità, adottando adeguati criteri di comunicazione, di informazione, diventando protagonisti di una società che vuole cambiare in meglio, di una società che ha in sé valori universali, come i diritti umani e l’etica.

Bullismo e discriminazione: fenomeni in aumento nelle organizzazioni educative e negli ambienti di lavoro

a cura di avv. Raffaella Aghemo

Il mondo del lavoro non è mai stato così complicato. La crisi economica e l’impatto, non solo sociale ma anche emotivo, della pandemia, ha spezzato gli ultimi argini, facendo defluire una serie di fenomeni che non fanno che produrre nuove forme di violenza e di discriminazione.

La rabbia, l’impotenza, la frustrazione, una forma ormai estesa di depressione, scatenano in alcuni soggetti una voglia di rivalsa, di vendetta, di crudeltà, che trova nel mezzo informatico, nella rete un veicolo potentissimo. L’eco che Internet crea, la diffusione a mezzo media di ogni cattiveria e meschinità, non ha fatto che rendere più sicuri i cosiddetti “leoni da tastiera”, fornendogli spesso anche l’”alibi” di un possibile anonimato. Addirittura la creazione di infrastrutture digitali, sempre più complesse, rende il lavoro di chi dovrebbe perseguirli, notevolmente complicato!

Il fenomeno del bullismo e del cyberbullismo, se protratto attraverso i mezzi digitali, è in crescente aumento. «La prima definizione di cyberbullismo è stata data da Bill Belsey. Il cyberbullismo è una forma elettronica di bullismo tradizionale, che si accompagna alle caratteristiche della comunicazione virtuale: anonimato, mancanza di empatia, incontrollabilità e conservazione a lungo termine di informazioni traumatiche. Il cyberbullismo è un’influenza deliberata, reiterata e ripetuta su un adolescente per mezzo di tecnologie elettroniche, compreso l’invio di messaggi offensivi e minacciosi, la diffusione di informazioni dispregiative non plausibili sulla rete, nonché foto e video con la partecipazione della vittima», si legge nel bel lavoro, “Risultati della ricerca Cyberbulling nelle organizzazioni educative”, svolto da una professoressa dell’Università pedagogica professionale statale russa, Dina Shchipanova. «..il tipo più comune di cyberbullismo nello spazio Internet può essere chiamato flaming. È uno scambio di brevi commenti emotivi tra due o più persone, che di solito avviene in luoghi pubblici sul Web. Il 13% dei ragazzi e il 6% delle ragazze sono stati colpiti da questo fenomeno. Inoltre, si osserva un alto tasso per le ragazze sotto forma di frasi oscene (8%), mentre per i ragazzi è dello 0%.»

Se prima il fenomeno si è, ahimè, diffuso nelle aule scolastiche, si è ora allargato, come un magma, agli ambienti lavorativi, agli spazi aziendali (virtuali o reali che siano), colpendo in maniera più massiva le donne. Ma il fenomeno, che può manifestarsi, ad esempio, attraverso forme di mobbing, spesso non viene considerato, a volte tacciato di esagerazione, se non addirittura ignorato! E le vittime subiscono atti vili, quali la mancata comunicazione di informazioni strategiche professionali, una mancata convocazione a riunioni o appuntamenti importanti, o il classico pettegolezzo, che come tradizione ci insegna, è quasi sempre veicolato su donne e sul loro percorso aziendale, integrando fattispecie di reato quali la diffamazione.

Sempre secondo le ottime definizioni della Shchipanova, «Il mobbing è una forma di violenza e si svolge prevalentemente in gruppi organizzati. Esistono due tipi di mobbing: verticale e orizzontale. Il mobbing verticale o bossing è un terrore psicologico contro un dipendente proveniente dal capo. Il mobbing o bullismo orizzontale è il terrore psicologico emanato dai colleghi

Il dato sconcertante, in questi fenomeni, è che, anche i partecipanti si trasformano. L’aggressore può essere semplicemente un “troll” o un cyber persecutore; decine, centinaia e persino migliaia di persone possono diventare osservatori. E quando il fatto si consuma in rete, sembra penetrare meno nella sensibilità della massa, forse perché percepito lontano, o, talvolta, giustificato in maniera scorretta e superficiale.

Allora cosa fare? Occorre “gridare” sempre più forte che episodi del genere esistono, e sono numerosi, e sensibilizzare tutti affinché si possano immediatamente contrastare, o meglio prevenire atti del genere che possono portare a conseguenze talvolta irrimediabili.

Iniziative come 6libera.org ci mostrano che non ci si deve necessariamente arrendere alla “brutalità” come fenomeno sociale e di costume, ma che, lottare per qualcosa di giusto, rappresenta il miglior LAVORO che possiamo fare per noi e per gli altri!

Le parole sono importanti

A cura di Giovanna d’Elia

Ormai siete dappertutto; come hai detto che ti chiami? Brava e pure mamma! Spaventi gli uomini; le donne sono le peggiori nemiche delle altre donne; io non sono maschilista; sei una donna con le palle; adesso ti spiego; era solo un complimento, avete voluto la parità, siete sicure che voi donne manager sarete più brave di noi uomini? Chissà com’è arrivata a ricoprire quel ruolo?

Quante volte ci sono state dette certe cose? Quante volte le hanno dette ad altre e noi eravamo testimoni? Quante volte in un gruppo di uomini abbiamo dovuto parlare più forte per far sentire la nostra opinione e quante volte siamo state interrotte?

La violenza di genere, è innanzitutto spesso verbale, sottile, manipolatoria.

Le parole sono importanti, sostiene Nanni Moretti nel suo film Palombella Rossa

Tutto parte dal linguaggio, il primo cambiamento parte dal linguaggio e il ruolo strategico delle organizzazioni lavorative per porre un argine alla violenza di genere attraverso la funzione Risorse Umane (HR)

Le statistiche dimostrano che il 60 per cento delle donne che convivono con la paura e la violenza all’interno delle mura domestiche lavorano, questo significa che il problema incide anche sul mondo del lavoro.

Le implicazioni riguardano infortuni, malattie professionali, assenteismo, e le ripercussioni emotive porteranno alla perdita di motivazione con conseguente minor produttività, e nei peggiori dei casi vi è la perdita della vita stessa.

Le organizzazioni possono fare la differenza perché sono in una posizione cruciale per un cambio di passo, ed in prima linea c’è la funzione HR.

Nello specifico le attività di prevenzione e tutela da mettere in campo possono essere di diversa natura, vediamone alcune:

NON FARE NIENTE NON É UN’OPZIONE

  • Chiudere entrambi gli occhi, girarsi dall’altra parte e far finta che non ci riguardi non è una possibilità
  • Promuovere l’equità di genere
  • Le ricerche hanno dimostrato che aumentando l’equità di genere si riduce la violenza sulle donne
  • Il posto di lavoro come luogo sicuro
  • Bisogna garantire un luogo di lavoro sicuro e riservato, dove poter condividere le proprie esperienze senza temere il giudizio
  • Sostenere ove possibile richieste ragionevoli come accordi di flessibilità, orario part-time, etc
  • La formazione, per garantire un luogo di lavoro solidale e consapevole
  • Aumentare la consapevolezza delle vittime ed aiutarle a riconoscere i segnali per prevenire il pericolo 

Diventa necessaria la creazione, diffusione, applicazione di una cultura che parta dall’alto.

La funzione HR può contribuire:

Formazione per i manager e lo staff per sapere come riconoscere i segnali di un disagio, come mettersi in relazione con una persona che non riesce a chiedere aiuto e come intervenire nel migliore dei modi.

Combattere commenti sessisti e stereotipi di genere sul luogo di lavoro.

Un’indagine dimostra che tra i pregiudizi più comuni ci sono pensieri come “per l’uomo, più che per la donna, è molto importante avere successo nel lavoro” (32,5 per cento), “gli uomini sono meno adatti a occuparsi delle faccende domestiche” (31,5 per cento), “è l’uomo a dover provvedere alle necessità economiche della famiglia” (27,9 per cento).

Strumenti e competenze acquisite nella lotta alla violenza alle donne varcheranno i confini aziendali e avranno una ricaduta positiva sull’ intera comunità innescando un processo virtuoso di consapevolezza e cambiamento.

Le donne che subiscono violenze possono trovare nell’ambiente professionale un aiuto e un sostegno qualora la Funzione e i manager delle risorse umane mettano in atto risposte appropriate a fronteggiare il problema, comprese politiche e procedure di supporto alle loro dipendenti.

Quello che le organizzazioni possono fare per la lotta alla violenza sulle donne è straordinario, hanno il vantaggio di essere in una posizione privilegiata e vincere dove altre istituzioni hanno fallito.

COME PREVENIRE LE MOLESTIE SESSUALI SUI LUOGHI DI LAVORO

Cosa può fare un’azienda per prevenire le molestie sessuale al suo interno?

sono 3 i passi concreti e tangibili che una organizzazione deve mettere in conto per poter implementare una politica efficace.

1. Iniziare dal vertice

La politica di tolleranza zero nei confronti delle molestie deve partire dalla posizione più alta presente in azienda: non dai capi di linea, non dalle risorse umane, ma da chi in quell’organizzazione ha effettivamente il maggior potere: il CEO, il Presidente, l’AD.

2. Proseguire con i manager e i capi intermedi

Ogni manager e ogni capo intermedio sa bene cosa il proprio superiore e l’azienda si aspettano da lui o da lei. L’attuazione delle politiche di prevenzione e contrasto delle molestie sessuali deve rientrare, esplicitamente, tra queste aspettative. Deve essere chiaro che per l’azienda il rispetto di queste politiche sono importanti tanto quanto il raggiungimento degli obiettivi di business.

3. Implementare un sistema di denuncia delle molestie

Chi subisce una molestia deve sapere a chi può rivolgersi per segnalarla, quali informazioni fornire, cosa succede dopo la segnalazione. Soprattutto, deve sapere che riceverà ascolto e comprensione e che può effettuare la segnalazione nella più totale sicurezza, senza timore di subire ritorsioni.

Ogni organizzazione deve prevedere un sistema per consentire le segnalazioni che sia facilmente accessibile, sicuro e appropriato per l’organizzazione stessa e i suoi membri. Può essere un numero di telefono, una mail, uno sportello, un referente delle HR. Non importa cosa sia, purché ce ne sia uno, tutti i dipendenti ne siano a conoscenza e sia gestito con correttezza e competenza.

Questo è il valore è il principio di attenzione e Ascolto che la funzione HR deve avere e si deve tradurre in buone prassi.

Da HR e donna con e per le donne mi sento di affermare, come sostiene anche Michela Murgia “Di tutte le cose che le donne possono fare nel mondo, parlare è ancora considerata la più sovversiva”.

Le molestie e le violenze nei luoghi di lavoro: l’importanza di fare rete tra gli stakeholder istituzionali

A cura di Angela Pisciotta

Sono più di un milione le donne che nel corso della loro vita lavorativa hanno subito molestie fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro. Rappresentano l’8,9% per cento delle lavoratrici attuali o passate, incluse le donne in cerca di occupazione.  Nei tre anni precedenti all’indagine, ovvero fra il 2013 e il 2016, hanno subito questi episodi oltre 425 mila donne (il 2,7%).

La percentuale di coloro che hanno subito molestie o ricatti sessuali sul lavoro negli ultimi tre anni è maggiore della media del 2,7% tra le donne da 25 a 34 anni (3,1%) e fra le 35-44enni (3,3%) .

Con riferimento ai soli ricatti sessuali sul lavoro, sono un milione 173 mila (il 7,5%) le donne che nel corso della loro vita lavorativa sono state sottoposte a qualche tipo di ricatto sessuale per ottenere un lavoro o per mantenerlo o per ottenere progressioni nella loro carriera. Negli ultimi tre anni, invece, il dato risulta in lieve diminuzione: sono infatti 167 mila, pari all’1,1%, le donne che li hanno subiti.

Il fenomeno dei ricatti sessuali appare più frequente al centro Italia, nei grandi comuni delle aree metropolitane e in quelli con più di 50 mila abitanti.

Il 32,4% dei ricatti sessuali viene ripetuto quotidianamente o più volte alla settimana, mentre il 17,4% si verifica all’incirca una volta a settimana, il 29,4% qualche volta al mese e il 19,2% ancora più raramente. Negli ultimi tre anni, la quota di donne che ha subito ricatti tutti i giorni o una volta a settimana è ancora maggiore (rispettivamente, il 24,8% e il 33,6%).

Quando una donna subisce un ricatto sessuale, nel 80,9% dei casi non ne parla con nessuno sul posto di lavoro.

Quasi nessuna ha denunciato il fatto alle Forze dell’Ordine: appena lo 0,7% delle vittime di ricatti nel corso della vita (l’1,2% negli ultimi tre anni). Un dato che si riduce ulteriormente se si considera chi ha poi effettivamente firmato un verbale di denuncia, il 77,1% di chi ha dichiarato di essersi rivolto alle Forze di polizia.

Le motivazioni più frequenti per non denunciare il ricatto subito nel corso della vita sono la scarsa gravità dell’episodio (27,4%) e la mancanza di fiducia nelle forze dell’ordine o la loro impossibilità di agire (23,4%).

Il ricatto è stato grave per la maggior parte delle vittime: lo ritiene molto o abbastanza grave il 69,6% delle vittime e il 72,8% delle donne che li hanno subiti negli ultimi tre anni.

Il 24,2% delle donne che hanno subito ricatti nel corso della vita (il 36,9% negli ultimi tre anni) ha preferito non rispondere alla domanda su quale sia stato l’esito del fatto. Tra coloro che hanno subito i ricatti nel corso della vita e hanno risposto al quesito, il 33,8% delle donne ha cambiato volontariamente lavoro o ha rinunciato alla carriera , il 10,9% è stata licenziata o messa in cassa integrazione o non è stata assunta.

La collaborazione con il Comitato Imprenditoria Femminile e della Consigliera di Fiducia della Camera di Commercio di Palermo ed Enna

Il Comitato avendo come “mission” quella di favorire l’empowerment delle donne nel loro percorso di lavoro, ha deciso di aderire e supportare il progetto dell’Osservatorio digitale “6libera.org” promosso dalla Presidente Confapi Sicilia, Avv. Dhebora Mirabelli, in qualità anche di membro del Comitato di Imprenditoria femminile e di Consigliera di Fiducia neo-eletta.

Compito del Comitato sarà quello di promuovere presso tutte le associazioni datoriali rappresentate, nonché presso tutte le aziende iscritte la sottoscrizione della dichiarazione di inaccettabilità per promuovere realtà economiche e produttive sempre più etiche e il loro ruolo di protagonista nella lotta alla violenza di genere consumata nei luoghi di lavoro.

Riteniamo che il “silenzio” e la “paura di denunciare” per non subire ritorsioni debbano essere combattuti in maniera forte e allo stesso tempo riteniamo che le aziende si impegnino a creare tutte le condizioni affinché si lavori in sicurezza, vigilando su comportamenti scomposti.

Lo studio sull’uso della tecnologia block chain su cui si fonda lo sviluppo dei progetti connessi dell’Osservatorio viene in aiuto di tali problematiche garantendo la riservatezza e l’anonimato di chi denuncia.

La raccolta delle denunce, così come i sondaggi tra i lavoratori, serviranno ad attivare percorsi di salvaguardia all’interno delle aziende ma anche come data base dal quale soggetti istituzionali qualificati potranno attingere per elaborare strategie di contrasto a tale terribile fenomeno.

Serve far capire che non bisogna tacere e che bisogna fare emergere, denunciando, atti che ledono le libertà delle donne che lavorano e alle quali non possono oltremodo essere precluse opportunità.

In questo solco il Comitato, recependo la Raccomandazione CEE 92/131, ha inoltre promosso la nomina della Consigliera di Fiducia presso la Camera di Commercio di Palermo e Enna con l’adozione di un codice etico di comportamento da questa redatto mirato a combattere la violenza sui luoghi di lavoro dei lavoratori e delle lavoratrici.

Il lavoro sinergico della Camera di Commercio e della Consigliera di Fiducia, Avv. Dhebora Mirabelli, potrà trovare un valido supporto in questo nuovo strumento che sarà diffuso anche all’interno del personale della stessa per promuovere la pragmatica attuazione del codice di condotta adottato.

La Camera di Commercio di Palermo e di Enna è la prima realtà in Sicilia ad avere adottato tale codice di condotta e uno strumento al suo servizio e sta lavorando per promuoverne l’adozione a livello regionale coinvolgendo tutte le Camere di Commercio territoriali. 

Patrocinio a spese dello stato

A cura di Susanna Pisano

LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE N. 1/2021

Con la sua prima sentenza del 2021 [1] la Consulta ha dichiarato “non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 76, comma 4-ter, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», nella parte in cui determina l’automatica ammissione al patrocinio a spese dello Stato della persona offesa dai reati indicati nella norma medesima, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24, terzo comma, della Costituzione….”
In forza della norma censurata, infatti, l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato della persona offesa dai reati previsti – ossia diverse ipotesi di maltrattamenti in famiglia e violenza sessuale – viene determinata, espressamente in deroga, sulla base di un mero automatismo senza alcuna valutazione discrezionale in ordine alle soglie di reddito richieste in tutte le altre ipotesi.
Nel caso di specie, invero, la persona offesa dal reato di cui all’art. 609-bis c.p. (“violenza sessuale”) aveva presentato, in applicazione della norma, una istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato pur senza offrirsi di provare la sussistenza dei requisiti di reddito previsti dalla normativa. In tale fattispecie, già la Corte di Cassazione (sez. IV), con le sentenze n. 13497/2017 e n.2822/2018 ha sancito il diritto della parte offesa, proprio per tale qualifica, di beneficiare del patrocinio a spese dello Stato, senza limiti di reddito in quanto la ratio della scelta del legislatore va ricercata nella finalità di “assicurare alle vittime di quei reati un accesso alla giustizia favorito dalla gratuità dell’assistenza legale”.
Le questioni poste al vaglio della Consulta investono la compatibilità della norma con l’art.3 Cost per la assunta disparità di trattamento, conseguente all’aver negato al Giudice la valutazione sulle condizioni patrimoniali del/la richiedente con il possibile identico trattamento di situazioni eterogenee sotto il profilo economico; e con l’art. 24, comma 3, Cost. al fine di prevenire una ammissione indiscriminata e una ingiustificata estensione del beneficio a coloro non meritevoli con possibili gravi ricadute sul generale obiettivo di limitare la spesa pubblica in materia di giustizia.
Nel rigettare entrambe le questioni sollevate la Corte Costituzionale, non rilevando alcuna violazione del principio di ragionevolezza o di parità di trattamento, pone in rilievo come l’obiettivo dichiarato dal legislatore [2] di approntare un sistema di sostegno più efficace per le vittime di violenza contro le donne e i minori, incoraggiando a denunciare tali episodi, si traduca nella ratio della norma che, con una precisa scelta di indirizzo politico-criminale, tende a favorire l’emersione e il contrasto dei fenomeni di violenza, necessità spesso frustrata dal contesto sociale e dallo stigma che ne consegue. Tale valutazione appare al Giudice delle Leggi ragionevole e frutto di un non arbitrario esercizio della discrezionalità del legislatore proprio perché l’istituto del patrocinio a spese dello Stato va ricondotto nell’alveo della disciplina processuale e la scelta effettuata con la disposizione in esame rientra nella piena discrezionalità del legislatore il cui solo limite è dato della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà. La vulnerabilità delle vittime dei reati indicati dalla norma, oltre alle esigenze di garantire al massimo l’emersione di tali reati, rende legittima la previsione che non appare né irragionevole né lesiva del principio di parità di trattamento.
Infine ricordando esempi di scelte simili operate dal legislatore in altre ipotesi di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, a prescindere dalla sussistenza delle condizioni di reddito, la Corte specifica che il beneficio non rappresenta una presunzione di non abbienza delle persone offese da tali reati ma sarebbe invece da ricondurre proprio alla condizione di vulnerabilità delle vittime, ampiamente dimostrata da dati e studi scientifici.
Ad un più attento esame l’interesse e la portata della decisione, però, possono andare ben al di là del mero e “sterile” campo processuale, non potendosi escludere la idoneità del beneficio del patrocinio a spese dello Stato ad assolvere anche ad ulteriori finalità poste a garanzia dell’uguaglianza sostanziale come appunto l’agevolazione delle situazioni fragili e vulnerabili nell’accesso alla giustizia ex art. 3 Cost.
Proprio l’individuare nella fragilità di una o più tipologie di vittime di reati particolarmente odiosi il motivo derogante la regola generale dei limiti reddittuali manifesta una precisa scelta del legislatore di “privilegiare” tali vittime, operando per loro una presunzione assoluta anche in ragione della conclamata paura nel ricorrere alla denuncia e della difficoltà per il nostro ordinamento di far emergere tali casi.
Gli argomenti addotti dalla Corte aprono dunque alla valutazione di altre situazioni di pari vulnerabilità affinché tale disciplina di favore sia un reale strumento di uguaglianza e possano usufruirne tutti i soggetti che si trovino in una situazione equiparabile alle fattispecie dell’art. 76, comma 4-ter.
Meritevole di opportuno approfondimento, infatti, è per esempio la casistica delle discriminazioni di genere, ed in particolare quelle nel mondo del lavoro che a tale ambito può essere ricondotta.
Il Codice delle Pari Opportunità offre un quadro preciso delle discriminazioni di genere dirette e indirette e delle molestie anche sessuali sul lavoro e appronta i rimedi giurisdizionali per perseguire i relativi comportamenti discriminatori, indicando nell’Ufficio della Consigliera di Parità (nazionale, regionale e provinciale/metropolitana) l’organo deputato a ricorrere in giudizio insieme o in sostituzione della vittima. Tale Ufficio peraltro, privato fin dalla Finanziaria 2012 del Fondo Nazionale di ripartizione, a suo tempo attribuitogli dalla legge istitutiva, non è fornito di risorse allo scopo, così da risultare molto difficoltosa se non addirittura impossibile la denuncia giudiziale.
La vulnerabilità della vittima è, per il Codice P.O., connaturata non solo alla odiosità dei comportamenti sanzionati ma alla stessa asimmetria insita nel rapporto di lavoro e ai “condizionamenti” nel sopportare e non denunciare cui le vittime sono sottoposte nell’ambiente lavorativo tanto da prevedere a loro favore un’attenuazione del normale onere probatorio.
L’ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello stato, senza limiti reddituali, sia per l’azione in giudizio della vittima di discriminazione e/o molestie, sia per quella della Consigliera di Parità potrebbe trovare giustificazione proprio nelle argomentazioni della Consulta e determinare il Legislatore ad intervenire con una precisa norma derogatoria.

Note:
[1] Corte Costituzionale Sentenza n. 1 del 3 dicembre 2020 pubblicata l’11 gennaio 2021
[2] D.L. 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, nella legge n. 38 del 2009; D.L. 14 agosto 2013, n. 93 (Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province), convertito, con modificazioni, nella legge n. 119 del 2013.

Imparare i malintesi, riparare gli abusi, preparare le intese

A cura di Sandro Calvani

In questo inizio del terzo decennio del terzo millennio che stiamo vivendo, la prosperità inclusiva delle società civili in ogni loro espressione, sociale, economica, culturale e politica si deve soprattutto a due gruppi di energie vitali e contrarie: quello della cooperazione tra realtà diverse e quello dei conflitti tra di loro. Sappiamo tutti che le persone hanno tutti pari diritti e devono avere pari opportunità. Ma tale base fondativa delle società paritarie non nasce da sola, va costruita con molta cura. Più alto e complesso è l’edificio di società paritaria che stiamo progettando, più solide devono essere le fondamenta. Molti osservano in modo intellettualmente onesto che noi che viviamo dentro a tali “edifici convenzionali” non siamo certo responsabili delle loro fondazioni e comunque non possiamo riprogettare adesso le vecchie fondazioni che forse sono deboli. In pratica alziamo le mani, ci arrendiamo contro minacce di ingiustizia che sembrano provenire da legislazioni insufficienti o mal applicate, governance nazionale ed internazionale dei beni comuni inadeguate e incompetenti, laissez-faire delle imprese, con il risultato di auto-commiserarci in un accidioso convincimento “mi spiace molto, ma io che ci posso fare?”
Per queste ragioni i conflitti sociali diventano dirompenti e minacciano di sbriciolare tutti i tessuti cooperativi che apprezziamo della società. Siamo costretti a rafforzare le strutture portanti della società a fianco a noi, visto che le fondazioni sono quelle che sono.
Dovremmo renderci conto che tra le discipline dei conflitti, quelle che studiano il conflitto di genere e ogni forma di violenza leggera o grave, manifesta o subdola collegate ad esso sono quelle più controverse. Ma questo conflitto è anche quello che ha bisogno di maggior attenzione, perché la sua mancata riduzione o risoluzione è una pesante palla al piede che impedisce la liberazione di tante società civili nel mondo e blocca la loro crescita verso un modello di prosperità inclusiva.
Questo è anche il capitolo dei conflitti non risolti che va a toccare alcuni dei temi più intimi, alcuni dei nervi più scoperti, alcune delle pieghe più oscure delle nostre comunità. Se ne siamo consapevoli, dovremmo anche essere responsabili e capaci di collaborare a rammendare gli strappi delle società .
Uno degli interventi più efficaci a disposizione per questo “artigianato” della ricostruzione dei diritti civili a disposizione di tutti è la Convenzione dell’ILO (International Labour Organization) sull’eliminazione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro, adottata nel giugno 2019 e ratificata per prima in Italia il 12 gennaio 2021. Non per caso, l’ILO è la più antica organizzazione internazionale di consultazione e cooperazione internazionale, nata diversi decenni prima delle Nazioni Unite, perché governi, imprese e sindacati si sono sempre rese conto che il lavoro è il più efficace e diffuso strumento di democrazia, progresso e giustizia in mano alle persone. Le raccomandazioni contenute nella Convenzione rappresentano un manuale semplice, completo e dettagliato per mettere le mani in uno dei conflitti più brutti del mondo moderno e divenire protagonisti della risoluzione intelligente e inclusiva. Questa volta non si può dire che il governo o il padronato non ci lasciano giocare un ruolo da protagonisti; al contrario, tutti possiamo entrare in campo e nessuno dovrebbe restare sulle tribune, negli spogliatoi o in panchina. Per rendere “alla pari” i diritti di tutte le lavoratrici, bisogna evitare di “se-parare” le aspirazioni comuni, e coinvolgersi invece nell’im-parare le cause dei malintesi e della disuguaglianza, ri-parare le divisioni e gli abusi, pre-parare le nuove intese e le prassi di tutti i giorni sul luogo di lavoro .

1 Tratto liberamente da: Valerio Capraro e Sandro Calvani, La scienza dei conflitti sociali, Franco Angeli editore, 2020.