Contrastare le discriminazioni di genere nei luoghi di lavoro: la certificazione di parità di genere

L’Italia è tra le ultime nazioni in termini di divario sul lavoro, ove le donne hanno meno possibilità di occupazione, diversità di redditi e stipendi inferiori. È stato rilevato che queste disuguaglianze sono in larga parte il riflesso della “specializzazione” di genere tra lavoro retribuito e non retribuito, in virtù del quale le donne più frequentemente sono costrette ad accettare retribuzioni inferiori a fronte di vantaggi in termini di flessibilità e orari. Se volgiamo lo sguardo al lavoro retribuito, emerge che tra uomo e donna c’è un gap enorme: a parità di lavoro gli uomini vengono pagati di più. Trattasi di gap di genere alimentato da discriminazioni, che si inserisce tra le principali forme discriminatore che comunemente sono chiamate allocativa e valutativa. La prima sta a indicare la differente allocazione di donne e uomini nel mercato del lavoro, per cui è più probabile trovare un maggior numero di donne nelle occupazioni meno redditizie; la seconda riguarda la minor valutazione del lavoro delle donne rispetto a quello degli uomini anche quando svolgono gli stessi compiti, con capacità quindi comparabili. La questione della parità di genere e della disparità salariale tra donne e uomini è al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica mondiale, tanto da essere al quinto punto dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, nonché uno dei pilastri nei progetti del PNRR.

La certificazione della parità di genere avviene su base volontaria, è soggetta a monitoraggio e comporta una serie di benefici per le imprese che ne siano dotate, come un riconoscimento di un punteggio premiale per l’accesso a finanziamenti europei, il riconoscimento di un punteggio premiale nelle gare d’appalto pubbliche, la riduzione del 30 % della garanzia fideiussoria per la partecipazione alle gare d’appalto pubbliche e per i datori privati, sgravio dal versamento di contributi previdenziali dell’1% e sino a massimo 50.000 euro/anno.

L’azienda che aspira alla certificazione deve dotarsi di una politica globale di parità di genere e del relativo sistema di gestione, partendo dalla nomina di un Comitato di alto profilo (AD-Presidente o DG, il Direttore del personale, ed eventuale anche Consulente esterno), cui compete redigere il piano strategico, assumere i conseguenti provvedimenti e formalizzare un documento, da pubblicare sul proprio sito, in cui siano definiti gli obbiettivi concernenti l’uguaglianza di genere, che siano “semplici, misurabili, raggiungibili, realistici, pianificati nel tempo ed assegnati come responsabilità di attuazione, le strategie per realizzare detti obbiettivi, le risorse e budget adeguati.

Occorre istruire il personale ad una nuova cultura aziendale, che rimuova gli stereotipi e sia improntata alla inclusione e valorizzazione della diversità, a partire dalla comunicazione; fare una revisione dei modelli gestionali ed organizzativi; nominare un Referente cui inviare, anche in forma anonima, segnalazioni e reclami per situazioni rilevanti ai fini della discriminazione, da coinvolgere e consultare su tematiche di inclusione e per valutare l’impatto di nuove misure aziendali; autovalutazione costante durante il percorso di adeguamento, per misurare i progressi e verificare le chances di ottenimento della certificazione.

Il datore di lavoro deve poi fornire annualmente, alle rappresentanze sindacali aziendali e alle consigliere e consiglieri territoriali e regionali di parità, anche sulla base delle risultanze dell’audit interno, un’informativa aziendale sulla parità di genere, che rifletta il grado di adeguamento alle prassi UNI/PdR 125:2022; ciò al fine di consentire loro di esercitare il controllo e la verifica del rispetto dei requisiti necessari al mantenimento dei parametri minimi per il conseguimento della certificazione della parità di genere.

Un orologio collegato con i Carabinieri per le donne vittime di violenza

Un orologio collegato con la centrale dei Carabinieri per soccorrere vittime di violenza di genere. Parte da Roma la sperimentazione frutto di un accordo tra Procura e Arma dei Carabinieri. Entrerà in funzione a giugno. È lo strumento che entrerà in funzione a giugno a Roma, previsto in forma sperimentale, nel protocollo d’intesa tra Procura di Roma e Arma dei carabinieri. I procedimenti penali da codice rosso per cui la procura di Roma “ha aperto fascicoli, nel 2023, sono 3737: oltre 100 al giorno. Le proiezioni dicono che c’è una crescita e che, dal 2024, saranno 4000 l’anno”. Così il procuratore aggiunto di Roma Giuseppe Cascini dopo la firma del nuovo protocollo d’intesa, stipulato tra la procura e il comando provinciale dei carabinieri su “Nuovi strumenti per il contrasto del fenomeno della violenza sulle donne”.

Resto al Sud 2.0: le novità contenute nel DL Coesione

Il Decreto Coesione, il DL n. 60/2024, ha introdotto una serie di agevolazioni volte a favorire l’occupazione di giovani, donne e a sostegno dell’autoimprenditoria. Tra le novità Resto al Sud 2.0. L’obiettivo della misura Resto al Sud 2.0 è quello di promuovere la costituzione di nuove attività di lavoro autonomo, imprenditoriali e libero-professionali, sia in forma individuale sia collettiva, tramite voucher e contributi a fondo perduto. Con Resto al Sud 2.0 i giovani under 35 in possesso di specifici requisiti possono ottenere dei voucher fino a 50.000 euro e contributi a fondo perduto che coprono fino al 75 per cento delle spese per favorire l’autoimprenditorialità. Le attività sono avviate in forma individuale tramite l’apertura di partita IVA per la costituzione di impresa individuale o per lo svolgimento di attività libero-professionale o in forma collettiva attraverso la costituzione di società in nome collettivo, società in accomandita semplice, società a responsabilità limitata e società cooperativa o società tra professionisti.

I giovani con meno di 35 anni d’età devono risultare in possesso di uno dei requisiti tra trovarsi in condizione di marginalità, di vulnerabilità sociale e di discriminazione, come definite dal Piano nazionale Giovani, donne e lavoro 2021 – 2027, oppure sono inoccupati, inattivi e disoccupati o sono disoccupati destinatari delle misure del programma di politica attiva Garanzia di occupabilità dei lavoratori (Programma GOL).

I finanziamenti possono essere concessi per l’erogazione di servizi di formazione e di accompagnamento alla progettazione preliminare per l’avvio delle attività, definita su base territoriale e di concerto con le regioni, in coerenza con il Programma nazionale giovani, donne e lavoro 2021-2027 e il programma GOL, per il tutoraggio, finalizzato all’incremento delle competenze, al fine di supportare i beneficiari di Resto al Sud 2.0 nelle fasi di realizzazione della nuova iniziativa o per interventi di sostegno all’investimento, che consistono nella concessione di incentivi per l’avvio delle attività.

Per quanto riguarda l’ultimo punto, gli incentivi sono fruibili, nel rispetto del regolamento UE sugli aiuti de minimis, in via alternativa e consistono nel riconoscimento di voucher e contributi a fondo perduto.

I beneficiari di Resto al Sud 2.0, per l’avvio delle attività con sede legale nelle aree del Mezzogiorno e nei territori delle regioni dell’Italia centrale colpite dagli eventi sismici del 2009 e del 2016, possono ottenere un voucher di avvio del valore massimo di 40.000 euro, in regime de minimis e non soggetto a rimborso, un contributo a fondo perduto, in regime de minimis, per programmi di spesa per l’avvio delle attività non superiori a 120.000 euro o un contributo a fondo perduto, in regime de minimis, per programmi di spesa per l’avvio delle attività dal valore compreso tra i 120.000 e i 200.000 euro. Il contributo copre fino al 70 per cento delle spese.

Un apposito decreto interministeriale, che dovrà essere emanato entro il 6 giugno individuerà i criteri e le modalità di finanziamento delle iniziative previste.

Per ulteriori informazioni, consulta il Decreto Coesione, clicca qui.

Sospeso professore di una scuola media per violenza su minore

Un professore di una scuola media in provincia di Torino è finito sotto inchiesta con l’accusa di violenza sessuale pluriaggravata. L’uomo è stato denunciato dai genitori di una tredicenne. Il professore era solito bussare alla porta della classe della ragazzina. La chiamava e la faceva uscire anche durante le lezioni degli altri docenti. Il tutto con una scusa per poi portarla via in un bagno o in una classe deserta. Avrebbe abusato della allieva nei bagni dell’istituto scolastico e anche nelle classi della scuola. La ragazza, ormai esasperata e con evidenti attacchi d’ansia, non voleva più andare a scuola e aveva avanzato l’ipotesi di voler lasciare gli studi. Il papà della ragazza ha mandato gli screenshot dei messaggi scambiati tramite WhatsApp alla Preside dell’istituto. A questo è seguita la denuncia. Il professore è stato sospeso fino a data da destinarsi dalla direzione scolastica dell’istituto.

Licenziata con un messaggio su WhatsApp perché incinta

Silvia ha cominciato a lavorare in un negozio alcuni anni fa. Doveva essere inquadrata come co.co.co ma ha scoperto di essere in realtà inquadrata come prestazione occasionale. Ogni mese le veniva fatta firmare una fattura e le veniva poi accreditato lo stipendio sul conto: 700 euro per un full time, 40 ore di lavoro settimanali. Questi 700 euro diventavano 500 se lei stava male o se prendeva qualche giorno di ferie. I numerosi straordinari, fatti anche quando era in gravidanza, invece non venivano mai pagati.

Appena saputo di non avere contributi versati all’Inps e di essere inquadrata come ‘prestazione occasionale’, Silvia ha deciso di chiamare la sua titolare e chiedere spiegazioni. Quando le ha comunicato di aspettare un bambino, ha risposto che doveva pensarci prima di rimanere incinta.

Da lì sono iniziati una serie di comportamenti volti a far sentire Silvia a disagio. Messaggi sul gruppo Whatsapp insieme ad altri colleghi in cui la si criticava per il proprio lavoro, cartelli affissi nel negozio con scritto ‘Cercasi personale’.

Il bambino di Silvia adesso ha cinque mesi. Inutile dire che, in tutto questo periodo di tempo, le è stato impossibile percepire la maternità che pensava le sarebbe spettata. “Mio figlio è una delle cose più belle che mi siano capitate, anche se la gravidanza era arrivata in un periodo economico non felice. Non ho più i genitori, sono riuscita a non cadere in mille pezzi grazie all’aiuto dei miei suoceri e dei miei fratelli. È grazie a loro se ho superato tutto. Ma mi chiedo come sia possibile che al mondo esistano persone così cattive, che non si fanno problemi a fare del male e danneggiare una persona con cui sono stati a stretto contatto fino al giorno prima”.

Come affrontare la mancanza di rispetto sul luogo di lavoro

Nell’ambiente lavorativo ideale, possiamo mettere in campo le nostre qualità e competenze, migliorando i nostri punti deboli e crescendo professionalmente giorno dopo giorno. Un altro aspetto fondamentale è il rapporto con i colleghi. Il gruppo con cui si lavora può essere composto da persone solari e amichevoli, ma talvolta l’atmosfera è meno informale. In questi casi, possono verificarsi situazioni di mancanza di rispetto sul lavoro.

Quando si manifestano tali atteggiamenti nel contesto professionale, il clima lavorativo può deteriorarsi rapidamente. Ciò non solo comporta un aumento dello stress e del malessere personale, ma ha anche ripercussioni negative sulla qualità del lavoro. Pertanto, è importante non sottovalutare la mancanza di serenità nell’ambiente di lavoro. In questo articolo forniremo indicazioni per individuare i comportamenti irrispettosi sul lavoro e imparare a contrastarli.

Lavorare in un ambiente dove non si sente rispettati può essere estremamente stressante e poco stimolante. È cruciale intervenire prima che questo clima sfoci in un malessere generalizzato.

È importante imparare ad essere assertivi, che significa esprimere le proprie idee e opinioni con fiducia e calma, senza essere aggressivi. Questo atteggiamento può aiutare a guadagnare la fiducia di colleghi che potrebbero non trattarti con il dovuto rispetto. È importante comunicare in modo chiaro, cercando di comprendere il punto di vista degli altri e accogliendo le critiche con apertura. La collaborazione è importante, ma è essenziale trovare un equilibrio tra disponibilità e la protezione del proprio lavoro. Se i colleghi si approfittano della tua disponibilità, impara a dire di no in modo educato e spiega le tue priorità. Questo dimostra rispetto per il tuo tempo e lavoro, incoraggiando anche gli altri a fare lo stesso.

Essere affidabili e coerenti con un forte senso etico può guadagnarti il rispetto dei colleghi. Rispetta le scadenze, comunica chiaramente e sii impegnato in ogni compito assegnato. Tratta i colleghi con considerazione, evitando critiche personali e diffidenze. Affronta le critiche con apertura e maturità. Ammetti gli errori e sfrutta l’opportunità per migliorare. Analizza le critiche in modo costruttivo per crescere professionalmente. Evita di reagire impulsivamente se un collega manca di rispetto. Mantieni la calma e rifletti prima di rispondere. Gestisci le situazioni in modo razionale per mantenere un clima collaborativo.

In Italia una donna su quattro non lavora

In Italia una donna su quattro non lavora. Al Sud la quota raddoppia: il tasso di “non lavoro” sale al 42% secondo i dati riportati da Svimez.

Il tasso di disoccupazione femminile nel quarto trimestre 2023 è sceso all’8,7%, un dato che sicuramente indica passi in avanti rispetto al passato. Il problema è però che in Italia il numero degli “scoraggiati” e dei sottoccupati è particolarmente alto rispetto agli altri Paesi Ue.

Nella classifica Eurostat l’Italia è il Paese con i dati peggiori, sia in assoluto, sia per le donne. Dopo di noi la Spagna, con un tasso di mancata partecipazione femminile del 22,5%, e la Grecia, con il 19,9%.

Ma le distanze che più dovrebbero far riflettere in realtà sono quelle all’interno del Paese. Tra il Trentino Alto Adige e la Sicilia il labour slack al femminile si moltiplica per quattro, passando dall’11.3% al 47,4%.

Dietro tutta questa “disoccupazione ombra” c’è naturalmente anche il lavoro nero, soprattutto nel Mezzogiorno. Che diventa anche un elemento del part-time involontario, che in Italia ha un’incidenza del 57,9% (la più alta in Europa). In molti settori del terziario si preferiscono contratti di 18 ore settimanali, che però diventano 40 al bisogno, con pagamenti di straordinari che spesso finiscono fuori busta.

Diverse società americane omettono gli obiettivi di Diversity, equality & inclusion dai rapporti annuali

Diversità, inclusione ed equità sono concetti fondamentali e ben distinti tra loro. Per diversità si intende ad esempio la diversità di genere, di età, etnica ma anche di abilità fisiche e la neuro diversità.

Per inclusione, invece, si intende il modo in cui i dipendenti vivono il luogo di lavoro. L’equità si riferisce al trattamento equo per tutte le persone, in modo che le norme, le pratiche e le politiche in atto garantiscano che l’identità non sia predittiva delle opportunità o dei risultati lavorativi.

Nel rapporto “La diversità vince: quanto conta l’inclusione” di McKinsey&Company, che comprende i dati relativi a 15 Paesi e più di 1.000 grandi aziende, si è osservato che le aziende con più del 30% di dirigenti donne avevano maggiori probabilità di superare a livello di produttività le aziende in cui questa percentuale variava da 10 a 30. In relazione alla diversità etnica e culturale, i risultati sono diversi e ancora più convincenti: prendendo come esempio i dati relativi al 2019, le aziende hanno sovraperformato del 36% in termini di redditività. Nell’ultimo anno però, la maggior parte delle aziende non sta apportando modifiche sostanziali per incoraggiare la diversità.

Testi violenti della trap contro le donne

Si è svolto il primo convegno dedicato al tema “Canzoni violente contro le donne. Che Fare?”. Nell’appuntamento dedicato alla sensibilizzazione si è messa in evidenza come, in particolare nella musica trap, la violenza e la molestia nei confronti delle donne ha un impatto davvero devastante. Emerge come il business discografico se ne freghi altamente della questione a scapito del profitto che questo tipo di canzoni genera grazie al seguito di milioni di esponenti della Gen Z e non solo.

Come è noto, alcune canzoni del genere Trap in italia sono “palesemente” da condannare perché lesive della dignità, della moralità e della personalità delle donne. Nonostante i codici etici di aziende discografiche e piattaforme online vadano completamente nella direzione opposta ai testi delle canzoni che quelle discografiche pubblicano e soprattutto promuovono, il business verso cui è orientato attualmente questo genere di musica.

La musica trap del linguaggio duro ha fatto la sua cifra stilistica. Il genere più amato tra i giovanissimi, uno stile musicale in costante ascesa, come rivela anche Wrapped 2023, la classifica annuale di Spotify. A confermare la presenza di espressioni che istigano alla violenza di genere nella musica trap, è un’inchiesta condotta da ‘Libreriamo’, social media italiano dedicato alla cultura, che ha analizzato, attraverso un software, quasi 500 testi di canzoni interpretate dai rapper e trapper del momento, per individuare temi, argomenti, valori dei componimenti. Tra gli artisti analizzati: Sfera Ebbasta, Rkomi, Lazza, Dark Polo Gang, Ghali, Tedua, Izi, Gemitaiz, Achille Lauro, Enzo Dong, Capo Plaza, Tony Effe, Guè Pequeno, Geôlier, Tha Supreme, Blanco, Ernia, Chiello, Shiva.

Quello che emerge è un quadro dove la violenza e la disparità di genere risultano temi ricorrenti nei brani trap: presenti rispettivamente nel 60% e nel 55% delle canzoni analizzate. In pratica quasi 6 brani su 10 contengono espressioni violente contro le donne, accanto a droga, rabbia e autocelebrazione.

Violenze e molestie sul posto di lavoro: dati sempre più allarmanti

Secondo i dati OIL di una indagine del 2022, nel mondo più di una persona su cinque ha subito violenza e molestie sul lavoro: il 17,9% degli intervistati lamentava intimidazioni psichiche e l’8,5 % (più uomini che donne), di natura fisica. Il 6,3% ha riferito di aver subito violenze e molestie sessuali, con le donne particolarmente esposte.

In base ai dati ISTAT 2022 in Italia sono 1 milione 404 mila le donne che nel corso della loro vita lavorativa hanno subito molestie fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro, ovvero l’8,9% delle lavoratrici ma, come abbiamo visto, molti dati ci mancano per capire il fenomeno appieno.

A fine 2023 nel Report: “Preventing and addressing violence and harassment in the world of work through occupational safety and health measures”, clicca qui, l’OIL ha cercato di capire i diversi risultati ottenuti dagli Stati nel tutelare il lavoratore da violenze e molestie sul lavoro per individuare le soluzioni migliori. Si scopre così che in Europa e in Asia centrale le disposizioni contro la violenza e le molestie sono principalmente integrate nelle leggi che disciplinano la sicurezza. In Asia, Pacifico e negli Stati arabi ci sono leggi mirate, mentre Spagna e Tunisia hanno leggi generali in materia di sicurezza che potrebbero coprire gli atti intimidatori, ma solo la Spagna li riconosce esplicitamente e indica come gestirle offrendo un buon esempio da seguire.

In Italia il Testo Unico di Sicurezza impone al datore di lavoro di valutare tutti i rischi, compresi implicitamente quelli da violenza o minacce senza però citarli espressamente. È fondamentale non sottovalutare e omettere questi episodi nella valutazione dei rischi. Molto importante anche non attribuire la responsabilità del loro verificarsi esclusivamente a clienti, utenti o pazienti che, in una situazione di elevata irritabilità, potrebbero essere indotti ad adottare comportamenti aggressivi. L’evoluzione complessiva della società, segnata dall’aumento della precarietà economica e sociale, dell’isolamento e dell’insicurezza, spiega in parte l’attuale tendenza crescente della violenza esterna.