La corte europea dei diritti dell’uomo ammonisce le autorità giudiziarie italiane: no alla vittimizzazione secondaria della vittima di violenza di genere!

La sentenza J.L. c. Italia della Corte europea dei diritti dell’uomo (Edu), pubblicata lo scorso 27 maggio (ricorso n. 5671/16, Caso di J.l. C. Italia), ha destato subito molta attenzione.

La Corte di Strasburgo, sottolineando la necessità di una tutela effettiva dei diritti garantiti dalla Convezione Edu, ha evidenziato che nel “sistema italiano”, a fronte di una cornice legislativa ritenuta sufficiente, si riscontrano però ancora troppo spesso stereotipi discriminatori di genere e di colpevolizzazione delle persone offese.

La Corte Edu si è pronunciata in modo particolarmente significativo, sottolineando che la facoltà dei giudici italiani di esprimersi liberamente nelle proprie decisioni – quale manifestazione del loro potere discrezionale e del principio di indipendenza della magistratura – è tuttavia limitata dall’obbligo di tutela dell’immagine e della riservatezza dei soggetti da qualsiasi interferenza che sia ingiustificata.

I giudici europei hanno analizzato la fattispecie nel contesto sociale di riferimento, ritenendo che simili espressioni non siano state occasionali, bensì abbiano riprodotto preconcetti radicati nella società italiana.

I procedimenti penali e le conseguenti sanzioni svolgono un ruolo essenziale nella risposta delle istituzioni alla violenza e alle disuguaglianze di genere. Pertanto, è necessario che le autorità giudiziarie evitino di riprodurre stereotipi sessisti nelle proprie decisioni, riducano al minimo la violenza di genere e l’esposizione delle donne a una vittimizzazione secondaria, utilizzando parole colpevoli e moralizzanti che possano scoraggiare la fiducia delle vittime nella giustizia.

Ribadisce la Corte Europea che gli stereotipi sessisti se inseriti nel contesto del sistema giurisdizionale di tutela, non solo ne ostacolano la stessa garanzia, in quanto causa di cd. vittimizzazione secondaria o victim blaming, ma minano altresì la fiducia nelle istituzioni, scoraggiando le vittime a rivolgersi alle autorità.

APPROFONDIMENTI

 “Note a margine della sentenza J.L. c. Italia della Corte europea dei diritti dell’uomo. Violenza di genere e vittimizzazione secondaria: la pronuncia del giudice nazionale tra libertà di espressione e interferenza nella protezione del diritto alla privacy Corte europea dei diritti dell’uomo, Sezione prima, Sentenza 27 maggio 2021, riCorSo n. 5671/16, CaSo di J.l. C. italia “ di Emanuela Brugiotti

Il PNRR: 10 milioni di euro di sgravi e agevolazioni per medie, piccole e microimprese più etiche e virtuose in termini di parità!

Un’iniziativa, incardinata nella missione 5 “Lavoro e inclusione” del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza* inviato a Bruxelles dal Governo, quella di una certificazione che accompagni le imprese a ridurre il divario tra donne e uomini sul fronte della parità salariale (a parità di mansioni), delle opportunità di carriera, della tutela della maternità. 

«Aver introdotto nel Pnrr una certificazione di parità – spiega la ministra Bonetti – pone innanzitutto un tema di valore: parità di genere nei processi e nei luoghi lavorativi non è soltanto un tema di garanzia di diritti e, quindi, di giustizia. È anche una scelta conveniente da un punto di vista strategico, perché permette di realizzare un modello di sviluppo davvero integrato e integrale. Più parità di genere vuol dire per un’azienda più valore, più crescita, più ricchezza: a maggior ragione, è fondamentale renderla misurabile. Proprio l’assenza di criteri e parametri di valutazione è tra le cause che fino ad oggi hanno reso poco efficace la promozione di una effettiva parità».

Con tale certificazione di parità, l’etica aziendale passa dal piano culturale a quello economico e sociale.

Ecco le fasi attuative:

  • Costituzione di un Tavolo di lavoro sulla “Certificazione di genere delle imprese”, presso il Dipartimento Pari Opportunità per definire un sistema e del meccanismo premiante 
  • Creazione di un sistema informativo presso il Dipartimento, con funzione di piattaforma di raccolta di dati disaggregati per genere e di informazioni sulla certificazione, e dell’albo degli enti accreditati
  • Attivazione in via sperimentale del sistema di certificazione sulla parità di genere da aprile 2022 ad aprile 2026. 

Tra le criticità da rimuovere negli interventi ipotizzati dal Pnrr con la certificazione di parità è elencata la possibilità di porre uguali condizioni nei percorsi di carriera.

Molestie fisiche e ricatti a sfondo sessuale sono le forme di aggressività più diffuse nei confronti delle lavoratrici accentuando la particolare condizione di fragilità che molte donne vivono sul lavoro. 

Secondo un’elaborazione della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro su dati Istat, circa 1 milione 173 mila di lavoratrici hanno subito un ricatto a sfondo sessuale (7,5%), per l’assunzione e/o avanzamento in carriera.

Quindi, lavorare sulle policy aziendali per promuovere la parità di genere significa anche aiutare le aziende a diventare protagoniste nell’attuazione di tutele e garanzie di un lavoro dignitoso in un luogo salutare e sicuro, fornire strumenti utili ed efficaci e siglare un patto di alleanza etico con i loro lavoratori.

Dove finisce il complimento e inizia la molestia sessuale nel mondo del lavoro? Online in Vademecum INAIL

In occasione dell’8 marzo 2021 l’INAIL ha pubblicato in rete un interessante opuscolo dal titolo Ri-conoscere per prevenire i fenomeni di molestia e violenza sul luogo di lavoro.

L’obiettivo del Comitato Unico di Garanzia (CUG) dell’Inail è quello di fornire elementi di conoscenza che facilitino il riconoscimento di comportamenti qualificabili come molestie fisiche o ricatti sul posto di lavoro.

A tal proposito giova ricordare che i datori di lavoro sono tenuti, a norma dell’art. 2087 del codice civile, “ad assicurare condizioni di lavoro tali da garantire l’integrità fisica e morale e la dignità dei lavoratori, anche concordando con le organizzazioni sindacali dei lavoratori le iniziative, di natura informativa e formativa, più opportune al fine di prevenire il fenomeno delle molestie sessuali nei luoghi di lavoro”.

Ma come fare?

Spesso le stesse vittime non riescono a dare un nome al loro disagio, finendo magari per colpevolizzarsi, isolarsi, o addirittura a dimettersi. Così, anche gli eventuali datori di lavoro o colleghi, testimoni, rischiano di non essere consapevoli della gravità dei comportamenti a cui assistono, finendo per inquadrarli nell’ambito di più o meno simpatiche pratiche di corteggiamento.

Ribadisce l’Inail: “Ogni persona, nell’ambiente di lavoro, deve però sentirsi libera di dire che trova un comportamento offensivo o inappropriato ed aspettarsi che gli altri la rispettino. Un comportamento che offende qualcuno involontariamente può essere rapidamente corretto senza causare danni. L’obiettivo è creare una cultura del lavoro in cui tutti si sentono ascoltati e rispettati. La molestia sessuale, invece, viola la dignità della persona, creando sul luogo di lavoro un ambiente intimidatorio, ostile, degradante o umiliante.” 

Nel dettaglio, secondo il vademecum, per riconoscere una molestia sessuale occorre definirne i tratti essenziali, e nello specifico: 

  • molestie fisiche: toccare, abbracciare, baciare, fissare; 
  • molestie verbali: allusioni sessuali, commenti, scherzi, battute a sfondo sessuale; 
  • molestie informatiche: messaggi, email o sms offensivi o sessualmente espliciti, avances inappropriate od offensive sui social network, ecc. 

Nel manuale, poi, vengono presi in considerazione anche gli atti di violenza psicologica come grida, offese, esclusioni da eventi sociali, assegnazione a mansioni dequalificanti, ecc. 

Italia: primo paese d’Europa a riconoscere con legge nazionale il diritto ad un luogo di lavoro libero da molestie e violenze

È stata pubblicata la Legge 15/01/2021 n. 4 che prevede la ratifica ed esecuzione della Convenzione dell’OIL n. 190 (Convenzione di Ginevra) sull’eliminazione della violenza e delle molestie sul luogo di lavoro. 

Con l’entrata in vigore della citata legge del 27 gennaio 2021, l’Italia è divenuta il primo paese europeo a ratificare la Convenzione di Ginevra in occasione del centenario dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL).
Secondo i dati diffusi dall’Onu, il 35% delle donne – 818 milioni di donne a livello globale – di età superiore ai 15 anni ha subito violenza sessuale o fisica a casa, nelle comunità o sul posto di lavoro. In Italia, il 31,5 % secondo i dati Istat.
Le norme contenute nella legge contengono il riconoscimento del diritto al luogo di lavoro libero da violenza e molestie, incluse quelle di genere, come diritto umano, che in quanto tale riguarda tutte le lavoratrici e i lavoratori, indipendentemente dal loro status contrattuale. 
La legge italiana ha recepito la definizione di lavoratori e lavoratori in senso ampio, includendo nel regime di tutela tutti coloro che sono in formazione, tirocinanti, apprendisti, licenziati, alla ricerca di lavoro e anche i datori di lavoro.
La copertura universale è fondamentale, se solo si pensa che la violenza di genere rimane una delle violazioni dei diritti umani vergognosamente più tollerate nel mondo del lavoro. 
La definizione di violenza e molestie adottata ed in vigore è stata oggetto di lunghe e difficilissime discussioni tra rappresentanze di imprese, sindacati e governi, prima che si raggiungesse l’intesa. 
Lo scopo era riuscire ad adottare una definizione chiara di comportamenti che spesso nella realtà sono subdoli e si avvalgono di opache ambiguità nei rapporti di potere. l’azienda di grafica pubblicitaria sostiene questa legge per un lavoro libero da molestie e violenze.
Grazie alla Convenzione di Ginevra e alla legge italiana, non ci sono più dubbi: costituisce violazione di diritto umano dei lavoratoti quell’ “insieme di pratiche e di comportamenti inaccettabili, o la minaccia di porli in essere, sia in un’unica occasione, sia ripetutamente, che si prefiggano, causino o possano comportare un danno fisico, psicologico, sessuale o economico, incluse la violenza e le molestie di genere”. Da ultimo è bene precisare che costituiscono molestie anche quei comportamenti che, indipendentemente dalla finalità, comunque violino la dignità della persona, siano dannosi per la salute o creino un ambiente di lavoro ostile.