L’Avv. Massimo Rossi commenta la sentenza che condanna l’imprenditore per la violenza verbale e psicologica contro la lavoratrice

«La piena consapevolezza del “ruolo dominante” e la piena consapevolezza della necessità della dipendente di quell’impiego descrive con sufficienza la “forza” espressa dal datore di lavoro.

Le parole proferite nei confronti della dipendente erano come lame di coltello che affondavano nella carne viva.

Erano lame affilate che colpivano la donna non solo per i termini usati ma perché Ella si sentiva “oggetto” e non si poteva ribellare per ragioni economiche finendo per nutrire un profondo scoramento e un senso di colpa.

La violenza verbale, il senso di colpa e la manipolazione psicologica non sono meno invasive della violenza fisica. Generano lo stesso tipo di dolore nella donna ma soprattutto finiscono per farle ritenere di essere lei nel luogo e nel posto sbagliato; essere lei quella sbagliata. Le molestie come quelle descritte sono violenze psicologiche di ordine sessuale e non solo si manifestano come violenze ma come vere e proprie “manipolazioni psicologiche”. La manipolazione è la più subdola forma di violenza perché genera un rapporto di ambivalenza tra soggetto autore e soggetto passivo.

Tale situazione si manifesta con una “responsabilizzazione” del soggetto manipolato che finisce per colpevolizzarsi.

La necessità di una normativa che vada a tutelare le persone in una posizione di subalternità è un dovere civile ed etico insieme e un valore del diritto positivo» commenta l’autorevole nonché nostro componente del Comitato Scientifico Avv Massimo Rossi, in riferimento alla vicenda dell’imprenditore che ha molestato verbalmente una sua dipendente. Per leggere la news in questione clicca qui.

«Con te avrei paura di fare sesso, secondo me gli uomini li distruggi». Imprenditore condannato per molestie verbali

Un imprenditore del settore tessile per cinque anni, dal 2008 al 2013, ha molestato verbalmente una sua dipendente. Un giorno ha intonato una canzonetta rivisitando il testo “Anima mia” dei Cugini di campagna, descrivendo un rapporto sessuale tra la sua dipendente e un uomo di colore. Battute continue, pronunciate davanti ai colleghi. «Con te avrei paura di fare sesso, secondo me gli uomini li distruggi», «usi giocattoli erotici», «ti metterei un cuscino sulla faccia e…», «dai, andiamo tutti con lei nello sgabuzzino». Non si tratteneva neppure con i fornitori: «Facciamo un cambio merce, io ti do lei».

Da anni la donna aveva attacchi di panico. È stata costretta a prendere psicofarmaci prescritti dal suo medico. Ha spiegato: «Le molestie mi infastidivano da morire, ma avevo il mutuo da pagare, c’era la crisi e non era facile trovare un altro lavoro». L’uomo è stato denunciato a settembre 2013. La sentenza presenta una condanna per molestie esclusivamente verbali con risarcimento di circa 150 mila euro comprensivi di spese.

Me Too, in 223 testimoniano gli abusi nel mondo dello spettacolo

In due anni sono emersi duecentoventitré casi di molestie e violenze sessuali, duecentosette con vittime donne. Attrici e giovanissime allieve delle scuole di recitazione e delle accademie abusate da registi (41,6%), attori (15,7%), produttori (6,28%), insegnanti (5,38%), casting director, critici, tecnici, spettatori. In arrivo nuove denunce. Violenze in scena, sui set, nei camerini, in prova, durante le lezioni o i provini.

22 attrici hanno prestato i loro volti alle voci delle colleghe abusate, alcune delle quali molestate da un regista di un teatro pubblico italiano «che per 25 anni non è stato fermato» spiega Cinzia Spanò, presidente del collettivo Amleta. «Avevo un appuntamento per un provino. Quando sono andati tutti via, è arrivato lui. Mi ha chiesto di levarmi le mutande. Era notte fonda, avevo paura. Mi ha chiesto di toccarlo e baciarlo. Mi ha afferrato la bocca e tra le gambe. Mi teneva così, come in una morsa. Per molti anni non ho lavorato».

Più di duecento casi raccolti, «un sistema che vede il sesso come sottomissione e potere e non come libera relazione. Per questo serve al più presto una legge sulle molestie», sottolinea l’avvocata di Differenza Donna, Teresa Manente.

Antonella Marino: «Un regista mi disse che ero bella e burrosa. Poi voleva alzarmi la gonna»

Antonella Marino è un’attrice, cantante e comica originaria di Messina. Ha partecipato a numerosi workshop di arti sceniche e ha studiato presso la Civica Accademia Paolo Grassi di Milano e presso Il Conservatorio Nazionale Superiore d’Arte drammatica di Parigi. Ha recitato in numerosi spettacoli teatrali e nel 2016 ha preso parte allo show televisivo Chi ha incastrato Peter Pan. Ha inoltre avuto un ruolo nel cortometraggio Stop Invasione!.

Mentre si trovava su un set su Sky è stata avvisata: «Molti registi importanti hanno delle modalità particolari e tutte loro. Toccatine amichevoli e battutine, come se fosse un linguaggio accettato. Infatti all’alba di un ingaggio l’unica altra donna presente mi disse: “Conoscerai dei tipi particolari ma simpatici, scherzano molto tra colleghi”. Alla prima pausa il regista mi ha circondata con un braccio e per dirmi che ero bella e burrosa come piacciono a lui e che avrebbe fatto sesso con me»

“Volevo anche denunciare ma ero appena arrivata a Roma, volevo fare questo mestiere e forse alzare un polverone non era la prima cosa da fare. Non sapevo che tutto il settore fosse caratterizzato da un’atmosfera così ambigua”, ha dichiarato.

All’epoca dopo la “battuta” si scostò: «Dissi che ero fidanzata ma rispose che non era geloso. L’indomani indossavo una lunga gonna di lana e appena mi vide disse “te l’alzerei questa gonnella”. E così fino alla fine delle riprese. Battute e riferimenti sessuali espliciti nonostante io non dessi segni di condiscendenza. Ero a mio agio solo quando parlava con altri, è stato un inferno». Dice che alla fine «sono salita in macchina dicendo al mio ragazzo che non volevo più fare questo lavoro. Non sapeva che dirmi, nessuno lo sa. Volevo anche denunciare ma ero appena arrivata a Roma, volevo fare questo mestiere e forse alzare un polverone non era la prima cosa da fare. Non sapevo che tutto il settore fosse caratterizzato da un’atmosfera così ambigua».

In questi giorni è stato presentato il report “Behind the scenes”, che fornisce una misura del fenomeno delle molestie nel mondo dello spettacolo. Dal dossier emerge che più della metà dei lavoratori dello spettacolo ha subito molestie sul lavoro, discriminazioni e bullismo. Il 67% sono donne, mentre il 48% sono uomini. Ovvero 7 su 10 delle persone che subisce abusi nel campo è donna.

Il ministro della Cultura: “Niente fondi alle aziende con casi di violenza sulle donne”

«La protezione delle donne è una questione che mi sta a cuore e mi attiverò in maniera ferma e decisa. L’Osservatorio svolge un ruolo importante, a giorni incontrerò i responsabili e sono disponibile a lavorare con loro. Fatte le opportune valutazioni sul quadro giuridico, sono disponibile a valutare ipotesi di escludere le aziende che hanno rilevato casi di questo tipo, ad esempio, dal sistema di provvigioni del ministero». Lo ha detto il ministro della Cultura.

“L’Osservatorio svolge una funzione importante”, ha detto Sangiuliano, sottolineando dunque di voler confermare il lavoro della commissione e anticipando che “a giorni incontrerò i responsabili, disponibilissimo a lavorare assieme a loro”. “Fatte le opportune valutazioni sul quadro normativo – ha annunciato il ministro – sono pronto a valutare anche l’ipotesi di escludere, ad esempio dalle provvigioni che vengono dal Mic, quelle aziende dove si sono rilevati casi di questo tipo”.

Quando la libertà di togliere il velo diventa simbolo mondiale di libertà di scelta per tutte le donne

Sara Khadim al-Sharia, la campionessa iraniana di scacchi, sfida gli ayatollah giocando ai Mondiali in Kazakistan senza indossare l’hijab, il velo che secondo la cultura musulmana deve essere indossato nei luoghi pubblici per coprire collo e spalle, considerato come sinonimo di purezza. La ragazza 25enne ha preso parte al campionato mondiale 2022 in Kazakistan seduta al tavolo del torneo senza il velo. Sara Khadim al-Sharia è una campionessa ed attualmente la più affermata giocatrice di scacchi dell’Iran. Ha vinto il titolo di maestra internazionale di scacchi all’84mo Congresso mondiale, all’età di 18 anni.

La sua scelta di protesta si unisce alle altre di donne e uomini che in Iran si stanno battendo per la libertà contro i dettami del regime di Teheran scoppiate a seguito della morte della giovane Mahsa Amini. Una giovane ragazza anche lei, fermata mentre era con la sua famiglia a Teheran e arrestata dalla polizia locale perché non indossava correttamente l’hijab, lasciando intravedere una ciocca di capelli, e portata in uno stato di morte cerebrale.

La ribellione è divenuta presto un movimento di opposizione radicale al regime degli ayatollah e coinvolge sempre più artiste, sportivi e diverse personalità pubbliche, che sfruttano la loro visibilità in patria e all’estero per dare voce alle proteste.

Una delle prime atlete iraniane ad apparire senza velo in una competizione è stata la climber Elnaz Rekabi, durante le gare di arrampicata su roccia in Corea del Sud. Dopo quell’episodio l’abitazione della sua famiglia sarebbe stata demolita dal governo di Teheran. Poi Niloufer Mardani, salita senza velo sulla pedana dopo una gara di pattinaggio artistico femminile in Turchia. E Parmida Ghasemi, nella squadra nazionale iraniana di tiro con l’arco, che si è tolta l’hijab durante la premiazione di una gara.

La decisione di Sara Khadim al-Sharia è coraggiosa, viste le reazioni al gesto della polizia militare iraniana. Reazioni che spesso portano alla morte delle donne che manifestano. Proprio a seguito del clamoroso gesto, la campionessa non vuole fare ritorno a casa in Iran, ma intende trasferirsi in Spagna.

Dall’INPS esonero contributivo per la parità di genere

L’INPS pubblica la circolare n. 137 del 27 dicembre in cui arrivano le istruzioni per la fruizione dell’esonero contributivo previsto per le aziende che ottengono la certificazione della parità di genere. I datori di lavoro in possesso di tale certificazione, che attesta l’adozione di politiche e misure concrete per le pari opportunità, possono beneficiare dell’esonero contributivo dell’1 per cento nel limite massimo di 50.000 euro annui. Chi ha ottenuto la certificazione entro il 31 dicembre 2022 potrà inviare la domanda a partire dal 27 dicembre fino alla scadenza del 15 febbraio 2023. Una volta conclusa l’istruttoria delle domande i beneficiari riceveranno il codice di autorizzazione “4R”.

Possono accedere al beneficio tutti i datori di lavoro privati, anche non imprenditori. Rientrano tra i casi di esonero anche gli enti pubblici economici, gli istituti autonomi case popolari trasformati in base alle diverse leggi regionali in enti pubblici economici, gli enti che per effetto dei processi di privatizzazione si sono trasformati in società di capitali, gli ex istituti pubblici di assistenza e beneficienza (IPAB) trasformati in associazioni o fondazioni di diritto privato, le aziende speciali costituite anche in consorzio, i consorzi di bonifica, i consorzi industriali, gli enti morali e gli enti ecclesiastici. Sono escluse le Amministrazioni pubbliche. I datori di lavoro devono avere conseguito la certificazione della parità di genere, essere in regola con la contribuzione previdenziale ai sensi del DURC, in assenza di violazioni delle norme fondamentali a tutela delle condizioni di lavoro e rispetto degli altri obblighi di legge e il rispetto degli accordi e contratti collettivi. Tale sgravio è cumulabile con altri esoneri o riduzioni nei limiti della contribuzione previdenziale.

Per consultare la circolare, clicca qui.

Lista hot ad UniPa. Stefania Auci: “Ateneo luogo di potere, si sradichi il degrado culturale”

Dopo la denuncia pubblica, l’Università, ha spiegato che si tratta di un gesto di un collega delle studentesse che si sarebbe già scusato e sarebbe stato redarguito verbalmente. Ora il caso sarà esaminato meglio e il Collegio di disciplina dell’Università vaglierà colpe e omissioni. La lista risale all’inizio dell’anno ed è passata di chat in chat cogliendo di sorpresa le dirette interessate citate nei messaggi con foto, nomi e voti sulle parti del corpo. Il caso è divenuto così di dominio pubblico con proteste delle associazioni studentesche e femministe. “Fuori i sessisti dall’Università”, “Fuori il patriarcato da Unipa“ sono alcuni degli slogan e striscioni comparsi in Università dove ci saranno assemblee nei prossimi giorni per discutere del caso. Anche la scrittrice Stefania Auci si è espressa al riguardo. “È una vicenda da mercato delle vacche, insultante. Mi ha colpito la totale sottovalutazione dell’accaduto da parte dell’Università” dichiara. Ciò che maggiormente la sconvolge è il degrado culturale del paese, alludendo ad un episodio abbastanza recente di promesse di “pullman pieni di ragazze ai giocatori di calcio in cambio della vittoria” e di come questa lista hot sia rimasta chiusa nei cassetti dell’Ateneo per dieci mesi.

Dopo aver superato le selezioni, una ballerina viene bocciata per ”dress code sbagliato”: il Tar la riammette in Accademia

Esclusa e bocciata dall’Accademia Nazionale di danza perché l’abbigliamento che aveva durante le prove di accesso è stato giudicato ”sbagliato”. Aveva indossato una semplice gonnellina sopra il body.

La giovane ragazza affronta le prove e le supera con successo, passando così la selezione. Tutto era andato bene ma con la pubblicazione della graduatoria finale, la scuola ha riscritto ex post le regole del “bando, bocciando la scelta della gonnellina poiché l’indumento, anche se leggero e di dimensioni ridotte, impedirebbe ai reclutatori di osservare a pieno i movimenti svolti durante le coreografie”

Una decisione dura e iniqua, giudicata tale anche dal Tar, a cui la ragazza si è appellata, che ha dunque accettato il ricorso presentato dalla legale della ballerina e ha condannato l’accademia all’annullamento della graduatoria e al conseguente pagamento delle spese processuali per un totale 1.500 euro.

«Sono nella lista delle studentesse più brave a letto» denuncia di una ragazza di UniPa

Una studentessa dell’università di Palermo ha denunciato su un blog di informazione non ufficiale dell’Università un episodio di sessismo nell’ateneo, avvenuto negli scorsi mesi. La ragazza ha spiegato di essere in una lista di «studentesse dalle migliori prestazioni sessuali», redatta da un dottorando di ricerca del dipartimento di Economia di UniPa e diffusa attraverso dei gruppi WhatsApp.

«Episodi come questo ci fanno rendere conto di come uno spazio femminista all’Università sia necessario e che l’emancipazione delle donne oggi non sia affatto scontata, nemmeno negli ambienti accademici, tra i banchi dei dottorati, dove prende forma la classe intellettuale di domani. Nel mostrare solidarietà alla collega, sentiamo il dovere di puntare i riflettori sull’ambiente accademico che nasconde e protegge, legittimando, chi fa violenza sulle donne», dice Anna Taibi, una studentessa di Beni culturali.

«Di recente, su un blog è apparso un post di segnalazione di una molestia a danno di una studentessa. Nessuna segnalazione è giunta alle strutture di Ateneo: né a me in qualità di prorettrice, né al rettore, né infine utilizzando il servizio anonimo di whistle blowing di Ateneo. Cionondimeno, per evitare di passare sotto silenzio una denuncia all’apparenza così grave, abbiamo attivato i nostri canali di indagine, nel rispetto della riservatezza che è dovuta in questi casi» lo scrive in una nota Beatrice Pasciuta, prorettrice all’Inclusione, pari opportunità e politiche di genere dell’Università di Palermo.

«Nel mese di febbraio scorso un dottorando di ricerca ha stilato una classifica di sue colleghe di dottorato, in base alla bellezza fisica (o almeno in base al suo personale criterio), che a quanto ci risulta è stata pubblicata su una chat dei dottorandi per pochi minuti, prima di essere cancellata. L’autore di questo atto insulso e idiota è stato individuato e convocato dal coordinatore del Dottorato, che lo ha rimproverato e severamente ammonito – spiega -. Il dottorando ha allora inviato a tutte le colleghe di dottorato una mail di scuse, nella quale ha chiesto di perdonare il suo comportamento, da egli stesso, giustamente, definito “disdicevole e condannabile”. Il coordinatore ha quindi chiesto alle interessate se intendessero procedere con la segnalazione per il provvedimento disciplinare e, non ricevendo indicazioni in tal senso, ha ritenuto di considerare chiusa la vicenda».