La farfalla Nina Corradini scuote la ginnastica ritmica. “Violenze e umiliazioni per non farci mangiare”
Umiliazioni verbali che Nina Corradini ha deciso di raccontare un anno e mezzo dopo che è riuscita a uscire dal “circolo vizioso”.
La farmacia era l’unico posto che per due anni ha frequentato, oltre la palestra e la stanza 204 dell’hotel di Cesano Maderno. L’atleta della Nazionale Nina Corradini, adesso 19enne ma all’epoca minorenne, ci andava di nascosto per comprare il lassativo Dulcolax, “un estremo tentativo” per soddisfare i parametri del peso della squadra azzurra di ginnastica ritmica e non ricevere così le “pressioni mentali” delle allenatrici della Federginnastica.
Riavvolgere il nastro per Nina Corradini non è facile: “Fino a qualche mese fa piangevo ancora, però ora riesco a raccontare tutto senza lacrime. Merito anche delle sedute dallo psicologo, sono in cura da un anno”. Aveva 15 anni quando, nella primavera del 2019, è stata chiamata dalla Federazione per una prova. Poi mi hanno convocato per i tre mesi estivi a Follonica, al termine dei quali sono stata confermata in squadra.
7-8 ore di allenamento al giorno, poi le lezioni fino alle 20 per la scuola privata. I primi due mesi sono trascorsi con serenità, poi il mondo che aveva idealizzato è svanito: Per le allenatrici ero solo una pedina, non c’era rapporto umano. Non mi hanno mai chiesto come stessi”.
Nina quotidianamente veniva pesata con le altre compagne, “in mutande e davanti a tutti, sempre dalla stessa allenatrice”, che segnava i dati su un quadernino ed emetteva il proprio giudizio: “Cercavo di mettermi ultima in fila, non volevo essere presa in giro davanti alla squadra. L’allenatrice mi ripeteva ogni giorno: “Vergognati”, “mangia di meno”, “come fai a vederti allo specchio? Ma davvero riesci a guardarti?”. Una sofferenza”.
Il controllo del peso avveniva dopo la colazione. “Il lassativo mi disidratava e, non mangiando, non avevo più forze. Mi ammalavo, avevo poco ferro nel mio corpo. Una volta sono svenuta a colazione, ma le allenatrici mi hanno fatto andare lo stesso in palestra, pensavano fosse una scusa”.
Il rapporto delle allenatrici con le atlete variava in base al loro peso: “Se eri dentro i loro canoni ti trattavano in modo diverso. Il cibo era diventato un incubo, pensavo alle conseguenze del mangiare determinati alimenti. Avevo imparato che di notte perdevo 3 etti e che un bicchiere d’acqua ne pesava 2”.
Tuttora Nina, al primo anno di Scienze della comunicazione, deve fare i conti con i fantasmi del passato: “Faccio fatica a mangiare davanti ad altre persone”. Con le sue parole vuole rompere il silenzio che si cela su queste pressioni psicologiche. “Spero di dare voce a tutte le altre vittime di queste pressioni”.