Le molestie nel metaverso
Da anni ormai il mondo digitale sembra essersi specializzato nel replicare in Rete le principali becere abitudini del mondo reale e anche il Metaverso non poteva sottrarsi a questa fondamentale regola non scritta. Il recente caso di una donna vittima di molestie sessuali (di un avatar femminile molestato da un avatar maschile) in un ambiente di realtà virtuale apre nuovi interrogativi nel mondo del diritto. La categoria dei giuristi si è posta il non trascurabile obiettivo di riuscire a capire se certi comportamenti punibili nella realtà possano esserlo anche quando si verificano in contesti completamente digitali, come per l’appunto quello del Metaverso. Il caso incriminato si è verificato sulla piattaforma “Horizon Worlds” di Meta, la società che fa capo al patron di Facebook. Questo tipo di piattaforme ricrea un ambiente del tutto virtuale all’interno del quale, grazie a un proprio avatar (o alter ego di se stessi) e a una serie di dispositivi di controllo dei movimenti e a un visore, si può entrare in questo ambiente virtuale interagendo con altri personaggi, a loro volta animati da persone reali. Durante una di queste migliaia di interazioni, vi è stato un episodio che, laddove successo nel mondo reale, sarebbe stato qualificabile come “palpeggiamento di parti intime”. Un avatar gestito da un uomo si è abbandonato a comportamenti inurbani ai danni di un avatar gestito da una donna, con tanto di commenti sessisti da parte di altri utenti collegati che, a loro volta a mezzo dei loro avatar, erano presenti alla scena. La donna ha sporto denuncia, fatto quest’ultimo che apre il sipario su tutta una serie di considerazioni. Il tutto cade sotto la competenza di una corte USA, in quanto la vittima e il molestatore sono americani e la piattaforma in cui è avvenuto il fatto è gestita da una società con sede in America. Negli Stati Uniti, un gesto simile seppur in un ambiente virtuale configura in reato.
L’ordinamento italiano inoltre non prevede, a differenza di altri, un autonomo reato di molestie sessuali. Tuttavia, un importante appiglio giuridico potrebbero offrirlo l’art. 660 c.p. e la sua interpretazione fornita, nel corso degli anni, dalla giurisprudenza. Tale norma punisce il reato di molestie alla persona, intese come il comportamento con cui, in luogo aperto al pubblico, si arrechi ad altri molestia o disturbo per motivi meritevoli di rimprovero. Da questa generica definizione relativa a comportamenti che possono anche non avere nulla a che fare con la sfera sessuale, la giurisprudenza ha provato a elaborare la specifica figura delle molestie a sfondo sessuale, che, pur in mancanza dell’atto materiale del contatto fisico tipico del delitto, si sostanziano in espressioni volgari a sfondo sessuale o in atti di corteggiamento invasivo e insistito. Una simile ricostruzione dovrebbe essere sufficiente a ricomprendere, o almeno a fornire l’aggancio per ricondurre nell’alveo delle molestie a sfondo sessuale, e quindi punire, anche quei comportamenti realizzati per mezzo di dispositivi elettronici nel contesto di ambienti virtuali. Sul punto però sarebbe sicuramente opportuno un intervento del legislatore specificamente mirato a punire simili comportamenti e a tutelare la dignità della persona e la sfera privata, massimamente quella sessuale, di ogni individuo, anche quando la stessa possa venire offesa o violata in ambienti completamente virtuali e digitali.